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DARK ENGEL, Fan Fiction

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gold rose
TOPIC_ICON11  CAT_IMG Posted on 7/11/2009, 11:15




CODICE
Originale
Rating: <b>Arancione</b>

Genere: <b>Sovrannaturale</b>

Personaggi: <b>Nuovi</b>

Note: <b>La storia contine scene di violenza ed emozioni gotiche che possono risultare inquietanti</b>



DARK ENGEL (di Gold Rose)

(Dark Engel, 2009)

Dedico questo romanzo a mia figlia Simona,
che più di chiunque riesce a farmi amare la vita
Al piccolo Christian
che ancora non sa, che comincia a scoprire il mondo,
A Francesco
che come un alito di vento inaspettato ha cambiato
la rotta del mio futuro.
E a Monica Montanari,
che non so come faccia, ma riesce sempre a farmi
raccogliere la penna dalla scrivania.

Non posso essere sola,
mi viene a visitare
una schiera di ospiti,
non sono registrati,
non usano la chiave,
non han né vesti, né nomi,
né climi, né almanacchi,
ma dimore comuni,
proprio come gli gnomi,
messaggeri interiori
ne annunciano l'arrivo,
invece la partenza
non è annunciata, infatti
non sono mai partiti.

EMILY DICKINSONEmily Dickinson


Prologo

PROLOGO

Piume bianche. Tante. Una sopra l’altra come la calca che si sgomita fra le bancarelle di una fiera di paese.
Nascevano tutte dal medesimo punto, nel centro esatto della sua schiena.
Nessuna barra artificiale a sorreggerle, a tenerle incollate. Erano parte integrante della sua pelle. Le prime più corte, e comunque superavano le due spanne di lunghezza. Le seconde, ma non per ordine di grandezza, erano grigie come il fumo che esce dai comignoli in invero. Poi dietro le più lunghe a definirne i contorni, sembrava superassero il metro.
Morbide. Certamente lo erano anche se pur allungando la mano non potevo toccarle. Quelle ali attaccate alla schiena dello sconosciuto, procedevano davanti a me, ondeggiando lievemente, lisce come la seta e inquietanti come il sangue che a gocce ne macchiava il manto leggero.
Non riuscivo a capire dove stesse andando né potevo immaginare cosa fosse accaduto a quella creatura strana. Avevo paura ma non riuscivo a non seguirla affascinata dal suo mistero senza storia. Camminavo leggera per non farmi sentire, ma qualcosa attirò la sua attenzione e si voltò.
Quasi mi sentii soffocare quando negli occhi stanchi di quell’angelo guerriero riconobbi lo sguardo di Dan. Daniele Di Maggio il ragazzo più idiota e insignificante della scuola.


Capitolo 1
Il sogno

Sassi e scogliera. Il mare d’inverno sembra una pozza malinconica che sciaborda stanca sopra un letto che si consuma poco per volta. Custodisce immagini allegre di estati passate e di amori vissuti tra gli ombrelloni. Di piste disegnate tra la sabbia, da bambini che accaniscono le loro dita affusolate contro palline colorate ed inermi, che altro non possono fare se non correre per deludere qualcuno e far sorridere qualcun altro.
Luoghi e visioni comuni per chi ci vive, ma trasformati da chi arriva per le vacanze, in tele romantiche da dipingere nella memoria, imprimendo le emozioni con sfumature diverse, che verranno incorniciate e dimenticate sopra una parete intonacata di bianco, fino alla prossima tela dentro la quale sognare. Ed eccomi lì. Un punto sciapo dentro uno sciapo panorama.
La noia poi. Insopportabile e palpabile come un fazzoletto di seta. Non riuscivo proprio ad abituarmi, eppure il treno poteva quasi considerarsi la mia seconda casa. Tragico destino di chi non ha ancora l’età per fare la patente o dei genitori comprensivi che acconsentano ad un mezzo di trasporto più veloce di uno skate o di una bici mezza scassata. Come se non bastasse avevo pure un freddo cane. Mi stringevo nel giubbotto ma sembrava un vestitino di carta per bamboline da ritagliare. Dannata moda e dannata io che mi lasciavo convincere da Lisa la mia migliore amica e peggior rovina della mia salute mentale.
L’I-pod gracchiava nelle mie orecchie note R&B, un genere di musica che detestavo dal profondo, ma non mi andava di scontentare Liz che ne sembrava completamente rapita. Ad occhi chiusi ciondolava la testa tenendo il ritmo a modo suo. Sembrava una drogata in piena crisi d’astinenza. Le mie orecchie a poco a poco si abituarono allo strazio, mentre la costa ligure scorreva veloce oltre i finestrini opachi del regionale del mattino.
Nonostante il volume da sordità latente, sentivo in sottofondo lo sferragliare delle rotaie al nostro passaggio, costante, fatto di contraccolpi sonori e familiari. Era ancora febbraio. Il secondo quadrimestre era cominciato e i miei voti non erano malaccio. Non era una fatica studiare per chi come me non aveva nessuno a fargli girare la testa. Liz invece l’avevo persa. Il suo Ale l’aveva completamente inghiottita nel vortice dell’amore irrazionale e tutto il resto era svanito dalla sua vita. Tutto tranne me, la musica R&B e la mania per gli abiti alla moda che rovesciava su di me trasformandola in ossessione compulsiva. Le volevo bene, anzi la odiavo a morte. Quella mattina soprattutto, mentre il freddo aggrediva il mio cervello e l’ombelico scoperto tra i pantaloni a vita bassa e un giubbotto striminzito che superava di una sola spanna l’incavo delle ascelle.
Il cellulare nella tasca prese a vibrare. Non mi sprecai nemmeno a raccoglierlo. Tanto una comunicazione dell’operatore telefonico non poteva certo farmi battere il cuore.
«Rose il cellulare».
Mi voltai verso Liz incredula.
«Miseria! E come avresti fatto ad accorgertene?»
Incominciavo a pensare ad un rapimento alieno durante la notte, il che avrebbe spiegato anche quell’assurda mania per la musica che meno sopportavo.
«Mi vibrava il braccio!»
Niente alieni, solo paranoia.
Io seguitai a guardare oltre i finestrini. Sulla barra grigia fiammeggiava la scritta “Vietato Sporgersi” che qualcuno aveva trasformato in “Vietato orge” cancellando un po’ qua e un po’ là.
Il buio mi colse di sorpresa. Un’altra galleria aveva oscurato la visuale, proponendo pareti nere e luci artificiali, messe in fila come soldatini ubbidienti.
«Che fai non leggi?»
Liz mi guardava dal basso della sua idea di posizione rilassata che io sospettavo fosse solo la posizione da pantaloni troppo stretti.
«Tanto chi vuoi chi mi scriva?»
Masticava la gomma a labbra aperte, sbattendo i denti, forse per darsi un tono.
«Beh! Che ti frega. Incomincia a leggere no? Magari è una mega offerta per sms o mms gratis.»
Già per mandarli a chi? La cara nipote mancata di Dolce e Gabbana dimenticava che lei era l’unico elemento della mia vita sociale, a parte qualche amica di passaggio. Non che non amassi stare in compagnia, ma mi annoiavo a sentire discorsi su ragazzi ed esperienze che non potevo capire, se non riferendomi a pochi e insignificanti episodi che risalivano alla scuola media. Ero stanca di sentirmi incitare a buttarmi tra le braccia del primo cretino solamente per accumulare punti da sventolare nella classifica di chissà quale gara alla quale non mi andava per niente di partecipare. Avevo qualche ragazzo che mi ronzava intorno, anche se Liz esagerava dicendomi che li attiravo come le api sul miele. Non volevo sprecare le emozioni. Me le tenevo strette, convinta di doverle riservare a qualcuno veramente capace di suscitarle. E poi non mi annoiavo durante i miei pomeriggi, fatti di poesie da inventare, scrivere o stracciare sopra quaderni che nessuno avrebbe mai letto, ma che rappresentavano il mio tesoro nascosto e personale.
«Allora?», tornò alla carica Liz.
Sbuffai.
«Ok, ma come sei insistente.»
Mi regalò un mezzo sorriso da star mentre abbassava l’iPod, quasi il messaggio si potesse ascoltare.

"So che mi hai visto. Devo parlarti." DAN

Rimasi con il cellulare fra le dita. Sul Display quell’sms senza senso.
«Chi è Dan?», chiese Liz guardandomi con fare malizioso.
«E io cosa ne so.»
«Scusa dai il numero di cellulare a uno e poi nemmeno ti ricordi chi è?»
Mi fermai un istante a pensare a chi fosse questo Dan e non mi venne in mente niente di interessante che potesse chiarire il mistero. Mi sforzai di ricordare ripercorrendo gli ultimi giorni, poi anche quelli più lontani. La mia mente rimase in silenzio assoluto, una voragine aperta sul nulla.
Liz mi guardava aspettando una risposta che non sarebbe arrivata.
«Allora?». Masticava la gomma e mi guardava con aria interrogativa e circospetta, come se le stessi deliberatamente nascondendo chissà quale segreto.
«Senti Liz, mollami ok?! Non lo so chi diavolo è questo rompi scatole. Sicuramente non è che un deficiente che ha sbagliato numero.»
Le mie parole rimasero sospese a mezz’aria. Mentre le pronunciavo mi sentivo a disagio come se stessi raccontando la più abominevole delle bugie. Rimasi in silenzio e cercai di sforzarmi. Ripetevo quel nome nella mente, lentamente, scandendolo lettera per lettera come se il segreto fosse nascosto dietro quei tre lemmi. Poi scossi la testa, lasciai scivolare il cellulare nella tasca e ritornai ad ascoltare la musica come se nulla fosse.
Non poteva certamente trattarsi di quel Dan.

Tre minuti. Solamente tre miseri minuti trascorsero prima che un nuovo sms facesse vibrare di nuovo il mio cellulare. Cercai di non dargli peso, quasi avessi paura di scoprire che proveniva dallo stesso, misterioso, mittente. Mi concentrai sulla musica assordante, cercando di perdermi in quelle note insopportabili che riempivano il mio cervello ad un volume troppo alto.
Dal sedile accanto al nostro un ragazzo mi fece segno. Lo guardai interrogativa, ma senza parlare.
«Senti per favore puoi leggere l’sms. Il “bip” è insopportabile.»
Levai la cuffia rimasta nell’orecchio e solo allora mi accorsi del fastidioso segnale.
«Si, scusami. Avevo le cuffie e...». Non terminai la frase che già avevo abbassato lo sguardo per la vergogna.
«Già…». Mi guardò in tono sprezzante e tornò a fissare il panorama dipinto oltre il finestrino.
Raccolsi il cellulare contro voglia. La bustina evidenziata in giallo, lampeggiava lungo il bordo in basso sul display. Mi affrettai ad aprire, prima di un altro “bip”.

"Non provare ad ignorarmi Rossella Biondi.
Dimmi ora e punto preciso in cui vuoi incontrarmi o verrò a prenderti in classe durante la prima ora. Non credo che Il Professor Boni gradirà."
DAN

Trasalii. La precisione e la sottigliezza con la quale dimostrava di essersi ben informato, sgretolavano anche il minimo tentativo di considerare quei messaggi l’errore di uno sconosciuto.
Liz non se lo perse, attenta ai pettegolezzi e ai particolari peggio di un agente segreto de K.G.B.
«E quindi?»
Sospirai. Inutile mentirle. Non mi avrebbe lasciata più respirare.
«Sempre questo Dan. Non riesco proprio a capire chi sia però. L’unico che mi viene in mente è Daniele Di Maggio.» cercai di essere sincera. Se non altro per cercare di far accettare la realtà a me stessa, ancor prima di convincere lei.
Rimase in silenzio qualche istante prima di scoppiare in una risata talmente poco discreta che fece voltare tutto il treno.
«Oddio! No! Che tristezza. E perché mai quello sfigato dovrebbe scriverti?»
«E io che ne so.»
«Scusa ma gli sms cosa dicono?»
Liz si allungò per cercare di sbirciare, ma io mi affrettai a premere invio.
«Niente. Dice se posso passargli certi appunti di matematica.»
Rise di nuovo.
«Ma chi? Mister “secchione” che chiede a Miss “becco fisso il debito di matematica” degli appunti?»
«E da me cosa vuoi? Si vede che è rimasto assente.»
«Certo e gli appunti del quarto anno li viene a chiedere a te che sei al terzo.»
Improvvisamente si fece seria, quasi minacciosa.
«Ti giuro che se stai filando con quello sfigato ti levo il saluto.»
Le rivolsi un’occhiata dura e feci per spegnere il cellulare. Un nuovo segnale me lo impedì.
Liz mi guardò facendo segno di vomitare ed affondò di nuovo nel sedile.
Io temevo quasi di leggere il nuovo sms.
Invio.

"Ok scendi dal treno. Ti aspetto alla fermata di Lavagna. Bada che se non scendi salgo io e vengo a cercarti fino al sedile.."
DAN

Un brivido mi percorse la schiena al pensiero dei mille occhi puntati su di me mentre Daniele l’idiota mi si presentava davanti rendendomi ridicola.
Per qualche minuto cercai delle alternative per sottrarmi a quell’incontro indesiderato, ma non ne trovai nessuna convincente, almeno più di quanto lo fossero le conseguenze se avesse messo in pratica la sua minaccia. Difficile credere che quel buono a nulla avesse il fegato di fare una piazzata che gli avrebbe regalato più battute di uno show per comici, ma se mi sbagliavo?
Mi levai definitivamente le cuffie dalle orecchie e mi alzai dal sedile rischiando di rovinare addosso a Liz a causa del movimento ondoso e poco stabile provocato dall’avanzare del treno sui binari.
«Dove vai?»
«In bagno. Torno subito.»
«Bleah! Che schifo! Ma mancano solo due fermate. Non fai prima a farla a scuola?»
«Niente da fare. Me la faccio addosso.» Accennai un sorriso di resa abbastanza convincente da far tornare Liz nella sua posizione, come dire, confort.
I miei occhi saettavano a destra e a sinistra come se qualcuno potesse leggermi nel pensiero. Non avevo ancora fatto niente e già mi sentivo una ladra in fuga da un branco di cani poliziotto. Non avevo mai bigiato in vita mia, ma sapevo che scendere dal treno la fermata prima mi avrebbe fatto certamente perdere la prima ora. Cercai di non fermarmi a pensare alle decine di telefonate che mi avrebbe fatto Liz non appena si fosse accorta della mia assenza, così preparai un sms di scuse che le avrei inviato non appena il treno fosse ripartito dalla stazione di Lavagna.
Il panorama che scorreva oltre i finestrini mi si propose sempre più lento, man mano che la mia destinazione si faceva più prossima. La tensione mi pungeva la pelle e la salivazione mi aveva completamente abbandonata. Sudavo sotto il giubbotto nonostante gli spifferi gelidi che mi frustavano i piedi vincendo la gomma delle porte scorrevoli. E se Daniele Di Maggio fosse stato un maniaco? Mi avrebbero ritrovata a pezzi sulla scogliera, orrendamente sfigurata dalle rocce. In poche ore mi sarei trasformata in un articolo in prima pagina di tutti i quotidiani o nella notizia sconvolgente dei tg della sera. Mia madre sarebbe morta pochi minuti dopo aver appreso la notizia. Mio padre l’avrebbe seguita a ruota. Daniele di Maggio avrebbe causato la scomparsa della famiglia Biondi in poche ore. Il treno era quasi fermo ormai. L’adrenalina aumentò, così come i battiti del mio cuore. Il sospetto si trasformò in paura. Mi chiesi se qualcuno o qualcosa mi obbligasse davvero a scendere da quel treno per incontrare il serial killer, ma una voce dentro mi dava della stupida invitandomi al buon senso e spingendo i miei piedi verso la scala. Magari se non fossi scesa sarebbe salito e avrebbe compiuto una strage. Rabbrividii. Quando il treno si fermò feci un lungo sospiro e un sorriso comparve sulle mie labbra:
Ma piantala Rose. È solo Daniele Di Maggio. L’idiota.
Scesi svelta e mi acquattai passando sotto i finestrini per evitare che Liz mi vedesse, mentre con lo sguardo cercavo Daniele. La stazione di Lavagna era affollata di studenti che fortunatamente non mi prestavano attenzione. Superai il vagone nel quale avevo viaggiato, colpendo e subendo qualche spinta di chi cercava di salire. Superai anche la carrozza successiva e finalmente tornai in posizione eretta, cercando di assumere un atteggiamento naturale, nonostante la tensione fosse palpabile. Mi guardai di nuovo intorno e finalmente i miei dubbi svanirono. Daniele era appoggiato ad un palo adiacente l’uscita e guardava nella mia direzione. Le gambe erano di piombo. Non avevo alcun motivo di temerlo, anche se il tono degli sms era stato tutt’altro che morbido e cordiale, ma l’incomprensibilità che aveva mosso i suoi gesti mi scatenava mille dubbi.
Mancavano solamente pochi metri a raggiungerlo quando una mano mi afferrò il braccio.
«Rossella Biondi.»
Smisi di respirare. Mi voltai lentamente, colta in fallo nel mio tentativo di squagliarmela dalla prima ora, o almeno quella era l’impressione che avrei certamente dato.
«Alessandro…»
Feci una pausa e deglutii.
«Clerici.»
Un’altra pausa.
«Conosci anche il mio codice fiscale per caso?»
Lui sorrise perfettamente a suo agio mentre il mio viso assumeva un’innaturale tinta color porpora.
Alessandro Clerici era il ragazzo più bello, quello più ambito e sognato della scuola e per questo irraggiungibile. Non aveva mai cercato compagnia nel panorama femminile che riempiva i corridoi dell’istituto statale d’arte di Chiavari che frequentavamo con un anno di distanza. Era sempre contornato da bellissime ragazze appena uscite da una rivista patinata, con le quali lo si vedeva passeggiare per il lungomare di Sestri il sabato pomeriggio. Ricco di famiglia ma fortemente contrario alle scuole private, sfoggiava macchine costose e abiti firmati. Non sembrava presuntuoso, anche se legava poco con i suoi compagni ed ancor meno con quelle come me e quindi, certe informazioni a suo riguardo, erano più delle supposizioni che delle certezze. Io rimasi in silenzio. Di tanto in tanto alzavo lo sguardo verso il suo, per abbassarlo subito dopo. Cercai qualcosa da dire in fretta, ma poi rinunciai. In fondo la prima mossa spettava a lui.
«Dove stavi andando se non sono indiscreto.»
Lo sei maledizione. Non sapevo se inventare una scusa o mettermi a correre. Certamente avrei evitato accuratamente di raccontare la verità. Effettivamente mi sembrò poco furbo fare la figura della stupida, scappando a gambe levate. Quindi optai per la bugia.
«Fuggivo dall’ora di matematica. Oggi sarebbe stato il mio turno d’interrogazione e proprio non posso permettermi un altro 3.»
Sorrise e io mi sciolsi davanti a quella mezzaluna bianca incorniciata da un viso meraviglioso. Mi tese la mano come per stringerla. Forse mi aveva già dedicato troppa attenzione e si stava congedando.
«Posso invitarla in un bar per un cappuccio e una brioches madame?»
Morta. Sicuramente ero morta e quello era il paradiso. Daniele Di Maggio doveva essere stato rapidissimo ad uccidermi.
Alessandro mi prese la mano nella sua come per scortarmi.
«Sono anch’io un fuggitivo. Per me è il compito d’inglese il mostro, quindi… Se ti va possiamo svignarcela insieme.»
Lo guardai frastornata. Le gambe di nuovo di piombo. Lui si fece pensieroso.
«Se non ti va, non preoccuparti, non me la prenderò.»
Cercai di scuotermi dal torpore. Avevo dimenticato dove fossi e perché ci fossi andata. Stentavo persino a ricordare chi ero.
Alessandro sorrise di nuovo. Si avvicinò in maniera disinvolta e mi sfiorò la fronte con le labbra. Nella mia mente esplose un grido acutissimo, come il verso di un uccello morente, ma non potei badarci. Improvvisamente un senso di tranquillità mi pervase e dimenticai ogni cosa che era accaduta quella mattina. Gli sorrisi anch’io e strinsi le sue dita tiepide nonostante il freddo che gelava le narici. Lo seguii senza fiatare, leggera proprio come il suo tocco di qualche istante prima. Daniele Di Maggio non c’era più ed io comunque nemmeno mi ricordavo di essere scesa per incontrarlo.

Il sedile in pelle della sua BMW serie 3 Coupè era meravigliosamente comodo. Ci affondai, tranquilla come se ci fossi salita un milione di volte, a mio agio, come se avessi passato con lui intere giornate.
«Dimmi Rose.. È così che ti chiamano, giusto?»
Lo guardai sorridendo.
«Già. Ma scusa se te lo chiedo. Come mai conosci il mio nome? Sembra che le ragazze dell’istituto d’arte ti passino davanti come tanti fantasmi privi di interesse.»
Lui rise forte, buttando leggermente indietro il capo, ma senza staccare gli occhi dalla strada.
«Veramente siete voi ad evitarmi.»
«Noi?»
«Già..» Abbassò un attimo lo sguardo, come imbarazzato. In quel momento mi sembrò di vederlo per la prima volta. Lui, la leggenda. Lui che tutte desideravano da lontano, così sicuro di sé, così irraggiungibile. Lui, proprio lui, incredibilmente appariva l’essere più tenero e indifeso che mai mi fosse capitato di incontrare.
«Perché mai dovremmo evitarti Alex?», feci una pausa per cercare le parole giuste, poi decisi di usare quelle più semplici suggeritemi dal buon senso e dalla sincerità.
«Dico, ma gli specchi in casa tua esistono?». Improvvisamente s’irrigidì ed io mi sentii morire. Ecco avevo detto la cosa sbagliata e me lo ero giocata.
«Cosa intendi dire?»
Non era arrabbiato, solo dubbioso.
«Che sei molto…», mi vergognavo, ma decisi di dirlo lo stesso.
«…desiderabile, ecco.»
Lui si girò a guardarmi mentre il motore della BMW ruggiva impaziente al semaforo rosso.
«E allora sai spiegarmi perché nessuna ha mai provato ad avvicinarmi? Tu per esempio…»
Sospirai, ma non mi andava di mentire. Decisi di essere spudorata e sincera fino in fondo.
«Tu sei un mito Alex, uno di quelli che tutte sognano e che danno per scontato di non poter avere. Ecco, insomma…»,presi fiato. Era difficile cercare di spiegare senza rendersi ridicoli.
«Sei sempre circondato di bellissime ragazze che vengono da chissà dove. Vesti sempre alla moda, guidi macchine… Come questa. Nessuno dei ragazzi dell’istituto d’arte si può quasi permettere un motorino. Quelli come te non frequentano…», mi fermai. Lui mi guardò.
«Non frequentano?...»
Presi fiato e la buttai.
«Quelle come me, per esempio.»
Rimase un attimo a pensare, poi sorrise.
«Beh! Il posto dove sei seduta fa cadere tutte le tue teorie.»
Mi arresi e gli sorrisi, indiscutibilmente vinta.

La mano scattò sicura sul volante e la BMW entrò nel parcheggio con una manovra soltanto.
«Dove andiamo di bello?»
«Pensavo al “Conte Max” se ti va. C’è una bella vista.»
«Non ci sono mai stata. Troppo IN per me.»
Sorrisi della mia goffaggine.
«Meglio. Sarà una doppia prima volta. Per me quella in cui prendo un caffè con una compagna di scuola e per te quella in cui entrerai in un nuovo locale.»
Sembrava contento e sereno. Mi avvolse le spalle con un braccio. Io sentii i brividi dappertutto. Incredibile. Non potevo credere a quello che mi stava succedendo e quindi non mi fermai a pensare. L’unica riflessione sulla quale la mia mente non poté fare a meno soffermarsi fu il motivo che mi avesse spinto a non andare a scuola. Gli avevo raccontato sì dell’interrogazione di matematica, ma sapevo che era una bugia. Il vero motivo però non riuscivo proprio a ricordarlo. Frugai nella mente ripercorrendo le immagini di quella mattina. Il treno, Liz, il bagno, Liz. Benedetto il cielo! Liz!
Mi divincolai dall’abbraccio di Alex e pescai nervosamente il cellulare dalla tasca. Lui s’irrigidì improvvisamente.
«Cosa c’è?»
«Scusami. Devo chiamare la mia amica. Sono scesa dal treno, stavo andando a scuola e… Sì insomma, non le ho detto che sarei scesa. Starà diventando pazza a cercarmi. Non vorrei che chiamasse mia madre. Sarei fritta.»
Delicatamente mi tolse il telefono dalle mani.
«Non osare. Io ti ho rapita, io pago la telefonata.» Dalla tasca del giubbotto estrasse un telefonino di ultima generazione e me lo porse.
«Non ci pensare nemmeno. Figurati se ti scrocco la telefonata. E poi nemmeno saprei fare il numero su quel mostro.»
Lui rise e mostrò di non avere nessuna intenzione di cedere.
«Ti prego Rose. Non fare i capricci. Lasciami fare il cavaliere no?»
Sospirai e mi arresi ai suoi occhi magnetici e penetranti. Erano neri come la notte, ma lucidi come una goccia di opale.
«Ok, però la colazione la pago io.»
«Scordatelo.»
Si fermò un istante a guardarmi poi fece un cenno con la mano al ragazzo dietro il banco che ricambiò il saluto.
«Non voglio violare la tua privaci ascoltando le balle che inventerai per tranquillizzare la tua amica. Fai pure con comodo. Io intanto mi accomodo e comincio ad ordinare. Cosa prendi?»
«Un cappuccino chiaro e una brioches liscia.»
«Agli ordini madame.»
Si allontanò mentre stavo già componendo il numero.

Ero eccitata all’idea di raccontare a Liz con chi ero, ma decisi di rimandare il racconto al pomeriggio, quando avrei avuto a disposizione tutta la storia. Il telefono di Elisa fece un paio di squilli.
«Pronto?»
«Liz, sono io Rose»
Silenzio.
«Liz mi senti?»
«Rose… Ma che numero è questo?»
«Tieniti forte! Ti sto chiamando dal cellulare di Alex Clerici.»
«Dal cellulare di chi?»
«Sì, hai capito bene. Lascia stare, non me lo spiego nemmeno io cosa ci faccio qui con lui. Poi ti racconto.»
«Ci puoi scommettere che mi racconti. Stronza, mi hai fatto credere di dover incontrare… Va Beh! Lasciamo perdere!»
Fece una pausa, quasi stesse rivisitando il ricordo del fico con il quale dicevo di essere.
«Ma quel Alex Clerici?»
«Lui.»
«E come cavolo hai fatto? Quello non degna nessuna di uno sguardo. E tu addirittura bigi per uscire con lui. Non mi hai raccontato niente. Non ho parole. Non sei l’amica che credevo.»
«Frena Liz. Non ho bigiato per vedermi con lui. Sono scesa dal treno perché mentre ero in bagno mi è venuto un attacco di panico a pensare all’ora di matematica. Mi veniva da vomitare, ma la tazza era intasata, così sono saltata giù per fiondarmi al bagno della stazione. Non sono riuscita ad avvertirti.»
«Certo sì, e Alex Clerici era giù che ti aspettava con un sacchetto di carta pronto in mano.»
«Scema! Quando sono scesa, l’aria fresca ha fatto un po’ passare la nausea e mentre camminavo per tornare sul treno lui mi ha avvicinata convinto che fossi scesa per bigiare e mi ha chiesto di fargli compagnia per colazione, tutto qui! Potevo rifiutare?»
Liz rise dall’altro capo.
«Certo che no amica. Entrerai nella storia.»
«No, Liz. Muta come un pesce. Non dire a nessuno dove sono. Magari qualche stronza, invidiosa mette i manifesti.»
«Ok. Ricevuto. Con i prof ti copro io. Divertiti stronzetta. Aspetto i particolari.»
«Contaci.»
Liz riappese per prima, mentre io ero ancora incredula ripensando alla scioltezza con la quale la bugia era defluita dal mio cervello e dalle labbra.
Feci per raggiungere Alex al tavolo, ma ritenne fosse il caso di avvertire anche mia madre. Riposi il telefono nella tasca e frugai nell’altra per cercare il mio. Non potevo approfittare così del credito di Alex, anche se ero sicura che lui ricaricasse in una volta quello che io riuscivo a ricaricare in un anno intero. Cercai bene, ma la mia mano non trovò che stoffa laddove solitamente tenevo il cellulare. Cercai dappertutto, senza risultato. Forse l’avevo lasciato nelle mani di Alex. Trasalii. E corsi a cercare il tavolo dove aveva preso posto. Magari mi sbagliavo, ma il pensiero che potesse frugare fra i piccoli segreti salvati nelle cartelle dei miei sms mi infastidiva. Quando fui in prossimità del bancone, un grido agghiacciante di uccello ferito mi trafisse la mente, di nuovo. Dovetti fermarmi a respirare. In quel preciso istante il dito di Alex aveva premuto sull’ok cancellando i tre messaggi di Daniele Di Maggio, unica prova del reale motivo per il quale ero scesa dal treno e particolare che non avrei più potuto ricordare.
«Tutto bene?»
Il barman mi osservava con aria preoccupata. Forse aveva assistito alla mia frenata improvvisa.
«Sì, sì, tutto bene. Una fitta al piede, ma è passata.»
Sorrise annuendo.

Il tavolo che Alex aveva scelto era all’interno, ma con una piacevole vista sul lungomare.
Mi osservava mentre arrivavo trafelata.
«Cos’è successo? Ti ho vista fermarti di colpo.»
«No niente. Una fitta al piede, ma è passata subito.»
Sorrise lasciando cadere il discorso.
Il mio cellulare era accanto ad una tazza fumante di cappuccino chiaro.
L’aroma che riempiva le narici era davvero piacevole, ma nulla a confronto della compagnia di un viso tanto dolce ed armonioso.
«Tu niente cappuccio?». Cercai di rompere il ghiaccio.
«Non ne vado pazzo. Preferisco un buon caffè nero e bollente.»
«Io allora faccio la figura della golosa. Niente che si addica meno ad una ragazza giusto? Attentissssime alla linea. Soprattutto quelle che sei abituato a frequentare.»
«Io…»s’interruppe un istante abbassando lo sguardo come imbarazzato. Poi lo risollevò riempiendo il mio e togliendomi il fiato.
«Io trovo più carina te. Mille volte di più.»
Sicuramente è pazzo.
Scoppiai a ridere. Lui non mi imitò. Sembrava serio, anche troppo per essere il primo giorno in cui mi rivolgeva la parola.
«Non prendermi per pazzo.»
Merda, mi legge nel pensiero.
«So che non ti ho mai dimostrato alcun interesse, ma in realtà sono settimane che ti ammiro da lontano.»
«Non esagerare adesso.»Mi stava mettendo in imbarazzo.
«Non sono certo una da ammirare.»
«Questo lascialo decidere a me.» Mi prese la mano che tenevo appoggiata al tavolo. Un brivido mi percorse la schiena.
D’istinto mi sciolsi dalla presa. Il colore del mio viso stava cambiando di nuovo.
«Scusami, non volevo…»
«No scusa tu, solo permettimi: è tutto davvero molto strano. Fino ad oggi non hai dato nemmeno segno di esserti accorto che esistessero altre persone nella tua stessa scuola. Non hai mai filato nessuna, non esci con i tuoi compagni. Frequenti solo locali Vip e ragazze da copogiro. Permettimi un po’ di scetticismo.»
Mi riprese la mano.
«Rose sono un ragazzo come tutti gli altri. Te lo dimostra il fatto che mi sia informato su di te. Volevo conoscerti, ma non mi piace pubblicizzare gli affari miei. Per questo ho sempre evitato di frequentare qualcuno sotto gli occhi e sulla bocca di tutti.»
Mentre parlava le sue dita si stringevano al mio palmo.
«Mille volte mi sono fermato a guardare il tuo quadro appeso giù in palestra per il concorso. Mi affascina quello che hai dentro, quello che la tela trasmette raccontando ciò che sei o che prometti di essere.»
Questa volta lasciai la mano nella sua.
«Ho dipinto un diavolo Alex.»
«Già. È meraviglioso.»
«E cosa ci trovi di tanto meraviglioso?»
«Trovo meraviglioso il tuo senso delle cose, la tua ribellione interiore. Il tema erano gli angeli e tu hai rappresentato l’esatto opposto.»
«Non volevo dimostrare niente a nessuno.»
«Lo so.»
«Solo non amo che di un argomento, qualunque sia, venga raccontata solo la parte comoda, mentre quella scomoda viene sempre censurata.»
La mia mente tornò indietro a quando avevo realizzato il dipinto di cui Alex parlava. Era stato solo un mese prima, in occasione di un concorso fra classi in cui esprimere il concetto di anima.
La palestra era gremita di angeli dipinti in ogni forma e genere. Solamente il mio rappresentava l’esatto opposto. La pecora nera insomma. Tutti mi avevano guardato storto, come se ci fosse in me qualcosa che non andava, come se fossi una specie di atea satanista o giù di lì. O almeno quasi tutti.
«Io ho letto proprio questo dentro i colori di quella tela. Il tuo essere vera e diversa. Il tuo rifiuto per i compromessi e la tua consapevolezza che esiste anche il lato oscuro delle cose e che non è così terribile da doverlo rifiutare.»
«Io non nego mai il polo negativo. Esiste. Altrimenti quello positivo non avrebbe ragione di essere.»
Alex rimase in silenzio guardandomi fisso. Immediatamente distolsi lo sguardo, incapace di reggere la sua bellezza.
Il cellulare al mio fianco prese a vibrare. Sul display la scritta “mamma” mi richiamava all’ordine.
«Merda, non ho avvertito mia madre.»
«Ma non stavi bigiando?»
«Io non bigio mai. Non so mentire.»
Raccolsi controvoglia il telefono e risposi senza spostarmi dalla sedia.
«Pronto.»
«Ehi! Dove sei?»
«Sono in stazione mamma. Sto tornando a casa.»
«E posso sapere come mai hai deciso di saltare la scuola?» Il tono era decisamente bellico.
«Mi sono sentita male mamma. Un po’ di nausea, forse qualche linea di febbre.»
«Ah! E adesso come stai? Ce la fai a tornare? Non puoi chiamare papà di venirti a prendere?»
Il suo tono era già cambiato: l’apprensione era evidente e già le mordeva le corde vocali. Mi sentii in colpa. Mia madre era una donna particolare. Molto individualista, poco avvezza alle smancerie, ma profondamente innamorata dei propri affetti. Io e mio padre eravamo l’unica cosa di cui le importasse. Non viveva che per noi da quel pomeriggio di diciannove anni prima quando mio padre l’aveva invitata al cinema. Lui faceva l’imbianchino, lei lavorava nel colorificio dei suoi genitori. Si erano conosciuti così, in modo semplice, tra una chiacchiera e un set di pennelli. Non c’erano due persone più perfette l’una per l’altra. Lei una donna semplice, molto elegante nell’esprimersi e nel vestire. Lui chiaro e pulito come un libro aperto e molto affascinante sotto il suo metro e ottantacinque di muscoli e sudore onesto.
Non avevo ancora finito la frase che già mi sentivo in colpa per la bugia che l’aveva messa in ansia.
«Non preoccuparti mamma. Mi sento solo un po’ debole, ma un mio compagno si è offerto di accompagnarmi. Scusami per non averti avvertito, ma non volevo spaventarti.»
«Non preoccuparti piccola. Chiamami appena arrivi a casa. Vuoi che chiami la nonna per prepararti qualcosa di caldo?»
«No mamma ti prego preferisco stare da sola. Mi sento solamente un po’ debole, nulla di grave. Appena arrivo mi metto a letto e dormo un po’.»
«Se vuoi rientro prima.»
«No mamma, non preoccuparti. Sto bene. Se poi i sintomi peggiorano ti chiamo.»
«Ok, mi raccomando. Ma chi è quello che ti accompagna?»
«Non lo conosci mamma, ma non preoccuparti. Mi riporterà sana e salva.»
Alex mi fece segno di passargli il telefono.
Io rifiutai con un cenno della testa.
«Dai solamente un attimo.»
«No.»
Lui si allungò e mi rubò l’apparecchio, veloce e preciso come un fulmine.
«Pronto signora Biondi?»
«Sì, pronto. Chi parla?»
«Buongiorno signora sono Alessandro Clerici, un compagno di scuola di Rossella.»
«Buongiorno Alessandro! Piacere di conoscerti..». Sempre molto educata e decisamente tutta d’un pezzo.
«Il piacere è mio Signora. Volevo rassicurarla sulle condizioni di Rossella. Secondo il sottoscritto è un po’ di mal di matematica, ma con il suo permesso volevo accompagnarla a casa e mentre si riposa, assillarla un po’ con formule e numeri.»
«Non mi sembra una cattiva idea caro, a patto che vi mettiate a studiare però…»Lasciò l’affermazione a mezz’aria, colmandola di sottintesi e raccomandazioni.
«Nessun problema. Sono abituato a dare ripetizioni e ancor di più agli studentelli svogliati. Oltretutto se stesse di nuovo male potrei avvertirla o accompagnarla dal medico.»
«E con che cosa l’accompagneresti?»
«Con la mia auto signora. Non si preoccupi nemmeno per quello. Ho ancora ventidue punti sulla patente e non ho mai preso una multa, nemmeno per divieto di sosta.»
Mia madre fece una pausa. Probabilmente stava soppesando e considerando tutti gli aspetti della questione.
«D’accordo allora. Mi raccomando Alessandro. Mi fido e ci conto.»
«Non stia in pensiero. Non ce n’è motivo. Le ripasso Rossella allora.»
Lui mi sorrideva soddisfatto. Io gli avevo riempito il braccio di pugni, soprattutto quando aveva accennato al “mal di matematica”. Schifoso traditore.
Mia madre mi salutò sprecandosi in avvertimenti e rimproveri che ascoltai appena. Ero troppo impegnata a dedicare al mio accompagnatore, sguardi di fuoco e tutt’altro che romantici.
Quando riappesi lui si alzò e mi offrì il braccio. Io mi sollevai dalla sedia spingendola con tanta irruenza da farla quasi cadere sul pavimento lucido e lo scansai fingendomi offesa. Rise e mi seguì salutando il barman anche per me.
«Sentiamo signor so tutto! Com’è che ti è venuta la brillante idea delle ripetizioni? E senza nemmeno chiedermi se ero d’accordo?»
Lui rise di nuovo senza rispondere e mi cinse le spalle. Era bellissimo stargli accanto ed era bellissimo lui. Era come se lo conoscessi da sempre.

Di nuovo la BMW e di nuovo sprofondai nel comodo sedile di pelle, accoccolandomi perfettamente a mio agio.
«Rossella dove abiti? A Deiva Marina, in corso Italia.»
Subito la mano scattò sul navigatore satellitare.
«Non ce n’è bisogno sai. Mi ricordo dove abito e posso spiegartelo strada facendo.»
«No. Voglio chiacchierare. Inutile perdere tempo quando la tecnologia ci semplifica il lavoro.»
Lo guardai inarcando le sopracciglia, ma il suo sorriso meraviglioso mi fece morire in gola qualunque obiezione.
«Alex non mi hai detto che ci facevi in macchina alla stazione di Lavagna. Perché sei venuto se avevi intenzione di bigiare?»
«Volevo avvertire Paolo di coprirmi.»
«E un semplice sms non bastava?»
Abbossò lo sguardo e arrossì leggermente.
«Volevo…Darti un’occhiata.»
Lo fissai senza replicare.
«Lo so ti sembrerà strano tutto questo, ma erano davvero settimane che cercavo l’occasione per fermarti, ma a scuola non mi va, te l’ho già detto. Volevo guardare un attimo il tuo viso e tenermi l’immagine con me fino a domani all’intervallo.»
«Non esagerare.»
«Non esagero sai. I tuoi occhi raccontano un’anima molto limpida e pulita. Mi piaci. Tutto qui. Non è un delitto giusto?»
Arrossii paurosamente senza trovare le parole per rispondere.
«Scusami, non volevo metterti in imbarazzo.»
Presi un po’ di fiato, cercando di raccogliere un po’ di coraggio.
«Non mi conosci nemmeno.»
«Appunto. È quello che sto cercando di fare. Stamattina volevo solo rubarti una fotografia nella mia memoria, poi mi sei comparsa davanti, giù dal treno. Non potevo crederci e soprattutto non potevo farmi sfuggire l’occasione.»
Abbassai di nuovo lo sguardo sempre più in imbarazzo.
Il tunnel di Moneglia era davvero buio e poco rassicurante. Un doppio senso alternato regolato da semafori posti all’inizio e alla fine di ogni galleria. Lungo dodici chilometri e illuminato soltanto da una fila di grosse luci applicate sulla volta, collega Sestri Levante a Moneglia e Moneglia a Deiva Marina.
Alex viaggiava a velocità controllata, guidando con sicurezza e calma.
Lui non appariva poi tanto imbarazzato dalla situazione. Chiacchierava delle proprie intenzioni, di quanto fosse interessato a conoscermi e di quello che pensava di me, senza porsi il minimo problema. Naturale e stranamente tranquillo, quasi ultraterreno. Vicino a lui mi sentivo rilassata e protetta, una sensazione che non mi era mai capitato di provare accanto ad un altro ragazzo. Non che ne avessi frequentati molti. Qualcuno, qualche bacio poco importante, niente di serio o di duraturo che valesse la pena ricordare. Mi fermai a pensare a quello che mi stava accadendo, ponendomi mille domande alle quali non trovai nessuna risposta. Rinunciai.
«Cos’hai?»
Lo guardai sorpresa.
«Sei silenziosa. È da quando abbiamo imboccato il tunnel che non dici niente.»
Solo in quel momento mi resi conto di non aver nemmeno guardato la strada. Quando sollevai lo sguardo eravamo di fronte a casa mia.
«Siamo arrivati, madame.»
«Vedo. Ma come facevi a sapere qual’era il palazzo. Non te l’ho detto.»
Mi rivolse uno sguardo sbilenco sorridendo colpevole.
«Non mi avrai seguita?»
«Scusami non prendermi per un maniaco. Avevo pensato che il modo più sicuro per avvicinarti lontano da occhi indagatori fosse fare una puntata sotto casa tua.»
Sorrisi dissentendo a capo chimo.
«Sei incredibile.»
Gli rivolse il medesimo sguardo di sbieco che mi aveva regalato poco prima e scesi dalla macchina. Lui rimase al proprio posto.
«Che fai non scendi?»
«No Rose. Non voglio disturbarti ancora.»
«Non mi disturbi. E poi hai promesso a mia madre le ripetizioni.»
«Sarà più contenta nel trovarti sola quanto verrà a controllare.»
«Non verrà!»
«Sì che verrà.»
Tacqui e sorrisi.
«Sì verrà.»
«Allora ci vediamo domani a scuola?»
Formulai la domanda senza riuscire a capire se stavo sperando in un sì o in qualcos’altro.
«Veramente pensavo di invitarti per una pizza stasera. Tanto ormai tua madre mi adora.»
«Smetterà di farlo quando non ti troverà a darmi ripetizioni.»
«Invece comincerà a farlo proprio quando verrà a controllare e scoprirà che non approfitto delle case libere.»
Sorrisi.
«Ti chiamo dopo principessa, ok?»
«Ok!»
Mi staccai dal finestrino controvoglia. Lui mi mandò un bacio mentre il vetro automatico saliva, concludendo quella meravigliosa mattinata.
Un leggero vento si sollevò improvvisamente. Non mi accorsi nemmeno di un ragazzo con una felpa nera e il cappuccio tirato su fino quasi a coprire gli occhi. Le mani in tasca, la cartella sulla spalle.
Passò vicinissimo al finestrino di Alex ancora abbassato dalla parte del guidatore.
«Te la farò pagare maledetto bastardo! Non te la prenderai!»
Lo sconosciuto incappucciato sussurrò quelle minacce con un filo di voce che io non potei sentire.
Alex chiuse il finestrino e fece inversione, ripartendo senza voltarsi.
Il mio Nokia nella sua tasca, il suo nella mia. Era stato talmente veloce che non mi ero nemmeno accorta dello scambio.
Sul Mio display apparve una busta lampeggiante.
Alex aprì il messaggio.

"Rossella devo parlarti. Chiamami ti prego."
DAN

Lui rise forte mentre premeva il tasto del cestino e cancellava l’sms.
Un nuovo grido di uccello ferito tagliò la mia mente.


VAI AL CAPITOLO 2 in fondo a questa pagina[CODE][/CODE]

Edited by gold rose - 14/5/2010, 16:14
 
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Marty@Cho89
CAT_IMG Posted on 7/11/2009, 17:20




Mi piace la storia.... ^_^ e penso di aver capito anche un pò la situazione... :shifty: sei brava!!!! :P
 
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folgorata
CAT_IMG Posted on 7/11/2009, 21:59




Grande prologo.
Grande scrittura dell'incipit, ma non disciplinata alle regole del romanzo di genere. Finisco di leggere e ti posto qua l'attacco castrato :-)

Edited by folgorata - 7/11/2009, 23:03
 
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folgorata
CAT_IMG Posted on 7/11/2009, 23:55




Eccomi:
CARA GOLD ROSE sei perfetta, talmente perfetta che mi permetto di asciugarti il pezzo on line. Tanto come vedi si tratta di eliminare gli aggettivi e osservare come deve cambiare il periodo di conseguenza adeguandosi agli standard della narrativa di consumo.
Così ci confrontiamo con le altre ragazze anche sui i miei criteri di intervento. Sentiamo se li condividono o meno.
Una nota, il narratore in prima persona non può essere onnisciente, altrimenti l’azione perde di immediatezza. Dunque lei non può sapere che lui ha cancellato le chiamate di Dan, né lei può sapere che cosa bisbiglia Dan alla fine accanto al finestrino dell’auto di Alex.



Edited by folgorata - 14/11/2009, 02:31
 
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gold rose
CAT_IMG Posted on 8/11/2009, 10:14




Grande Folgo! Hai capito al volo. Daltronde l'esperienza non mente. Proprio ieri, mentre lo leggevo a Francesco, mi sono accorta dei periodi troppo lunghi e degli aggettivi di troppo. "franci" funzionava perchè era veloce. (Scuola Moccia!) Inoltre ho riflettuto anche sull'impossibile onniscienza del narratore e l'ho ritrovata anche nei romanzi della Meyer che dedica capitoli interi al punto di vista diverso da quello di Bella!!!!

A questo punto Il secondo e il terzo capitolo li sistemo prima di pubblicarli.

Solo una domanda: Vale la pena continuare o dovrei continuare con la saga di Franci (visto che era anche il primo del genere per la Mamma editori)????

Attendo consigli...

Un bacio e GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEE ;)
 
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Marty@Cho89
CAT_IMG Posted on 8/11/2009, 12:15




Beh si correzione impeccabile come sempre folgo ^_^ grande!!! :lol: e brava rose!!! :P
 
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Oh Yeah!
CAT_IMG Posted on 8/11/2009, 16:40




Questa storia è assolutamente bella. Veramente complimenti. Il prologo mi piace particolarmente. E scrivi bene, brava.
Per favore continuala, mi piace.
 
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*Nereide*
CAT_IMG Posted on 9/11/2009, 02:48




Davvero interessante...spero davvero che continui!!!

SPOILER (click to view)
Una nota, il narratore in prima persona non può essere onnisciente, altrimenti l’azione perde di immediatezza. Dunque lei non può sapere che lui ha cancellato le chiamate di Dan, né lei può sapere che cosa bisbiglia Dan alla fine accanto al finestrino dell’auto di Alex.


Quoto!!!
Era l'unica cosa che stonava quella del narratore onnisciente...per il resto davvero brava: per il modo di scrivere,per i dialoghi,per i personaggi interessanti gia dal primo capitolo!!!
A presto!!!
 
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gothika85
CAT_IMG Posted on 9/11/2009, 11:20




*_*
sta storia è intrigante *.*
no davvero, apparte le correzioni che t'ha fatto folgo che io non ho manco notato nella lettura... la trovo bellissima *.*
a quando il prossimo? xD
 
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gold rose
TOPIC_ICON11  CAT_IMG Posted on 12/11/2009, 13:03




«Capitolo 2
Dubbi

Decisamente il soffitto era da tinteggiare. Non avevo fatto altro che studiarlo centimetro dopo centimetro, incapace di rilassarmi.
Avrei dato qualunque cosa perchè Liz non fosse confinata in un’aula dove peraltro avrei dovuto trovarmi proprio in quel momento. Avevo bisogno di parlare con qualcuno o mi sarei messa a urlare. Passai in rassegna i possibili candidati. La prima fu mia madre. Quanto mi piaceva. Allegra, briosa, innamorata della vita più di chiunque altro avessi mai conosciuto. Era una madre perfetta, una moglie perfetta, la migliore amica che una persona possa desiderare d’incontrare. Io mi ero sempre divertita con lei. In inverno andavo a scuola. Il pomeriggio un po’ di compiti e poi l’aiutavo al negozio. Quasi sempre, se non c’erano clienti, ci infilavamo nel retro bottega e creavamo piccoli capolavori liberando la fantasia. D’estate invece, soprattutto il lunedì, giorno di chiusura, fuggivamo a Monterosso e ci immergevamo nelle acque cristalline per catturare con gli occhi, decine di pesci dalle forme e dai colori tra i più diversi. A volte nuotavamo fino alla scoglio che si trovava a pochi metri dalla spiaggia vicino alla stazione, per guadagnare un po’ di tintarella mentre l’una intratteneva l’altra con pettegolezzi e battute che finivano quasi sempre in un mal di stomaco da troppe risate. Lei mi prestava il vestito di organza verde mela e io glielo soffiavo tanto spesso da non darle quasi il tempo di ritirarlo dalla lavanderia. Lei invece rubava jeans tagliati e infradito dai miei armadi perché le sembrava che la ringiovanissero di un decennio. L’adoravo. Leila Biondi era decisamente la mia preferita, sotto ogni punto da vista. Ma ora. Ora non potevo raccontarle nulla. Troppe spiegazioni, troppi particolari scomodi. Le raccontavo tutto sì, ma senza violare i confini della sessualità. In fondo la mamma è sempre la mamma. Mi sarei vergognata nel rivelarle quanto mi sentissi compiaciuta e attratta dalle attenzioni improvvise del ragazzo più ambito della Liguria e di quanto la mia mente rischiava di rimanerne coinvolta.

Il secondo candidato fu Ronny il mio gatto persiano color carota. Ottimo ascoltatore non c’è che dire, ma certamente poco utile nello scambio di opinioni. Mi sforzai. Purtroppo non mi fidavo di nessun’altro, tranne che di Liz; ogni minima notizia rischiava di diventare l’argomento di tutte le conversioni e di tutti i pettegolezzi, esattamente quello che Alex voleva evitare.
Sbuffai e mi girai su un fianco. Non avevo scelta, dovevo aspettare.
Il suono del citofono mise fine all’agonia.
Mia madre non ci mise molto a salire. Abitavamo al primo piano di una vecchia casa con le persiane azzurre scolorite. Sala, due camere da letto, un cucinino. Non era molto grande ma chiunque entrasse non poteva che rimanere a bocca aperta. Su alcune pareti avevamo dipinto enormi quadri di paesaggi marini e su quelle lasciate volutamente bianche avevamo appeso piccoli capolavori in gesso: cappelli da marinaio, vecchie barche e pesci colorati con maestria. Mi sentivo in una favola quando varcavo la soglia. Non c’avevo mai fatto l’abitudine. Avevo sempre continuato a considerarlo un luogo magico. La mia camera poi, era arredata come se si trattasse della cabina di una nave: mobili in legno color ciliegio e tessuti a righe bianche e blu. Intorno alla finestra avevo modellato un grosso cerchio per farla somigliare ad un’enorme oblò. Sulla parete di fronte alla porta, c’era un timone e su quella accanto, uno specchio rotondo incorniciato in un tipico salvagente bianco e rosso come quelli che si vedono nei cartoni animati intorno alla pancia di Paperino. Quello era il mio regno personale, il posto dove adoravo rifugiarmi da piccola, quando immaginavo di salpare per chissà quali mete.
«Ciao amore!» Mia madre mi chiamava così sin da bambina.
«Ciao mamma. Scusami non ho ancora preparato niente. Non ho fatto caso all’ora.»
Mi baciò sulla guancia.
«Non preoccuparti piccola ci penso io. Dimmi solo che cosa ti va di mangiare e lo preparo in un baleno.»
«Per la verità non ho molta fame. Basteranno un po’ d’insalata e una mozzarella.»
«Che ne dici di sogliole e patate? Il pesce l'ho comprato stamattina. Gianni mi ha detto che è freschissimo.»
«Vada per le sogliole, ma preferisco un po’ d’insalata alle patate.»
Sorrise mentre indossava il grembiule.
«Agli ordini madame.»
Quell’espressione mi ricordò improvvisamente Alex.
«Mamma, hai provato a chiamarmi prima?»
«Si l’ho fatto, ma mi ha risposto il tuo amico. Come si chiama? Alex…»
Storsi le labbra pronta a dare spiegazioni.
«Mi ha detto che per errore gli era rimasto il tuo cellulare nella tasca e che a te era rimasto il suo. Dice che forse è successo quando te lo ha prestato per chiamare Elisa.»
Bugiardo. Se lo ero ripreso. Rimasi in silenzio a riflettere. Che me lo avesse fregato dopo? E perché poi? Ecco che il principe azzurro mi si trasformava in cleptomane. E se l’avesse fatto per sbirciare fra i miei segreti? Niente cleptomane, solo ficcanaso. E se voleva prendersi i numeri delle mie amiche per ottenere informazioni su di me? Ok, niente ficcanaso, ma pericoloso maniaco. Rabbrividii scuotendo il capo per cancellare l’ultimo pensiero. Stavo diventando paranoica. Non mi restava che chiederglielo quando me lo avrebbe restituito.
«Ma perché ti ha prestato il suo cellulare? Sei di nuovo senza credito?»
«Veramente no. È che si sente cavaliere e ha voluto risparmiarmi la chiamata.»
Leila sorrise maliziosa.
«Quanto approvo un po’ di sano ritorno alle buone maniere.»
La mente ritornò alle immagini della mattina. Lui che mi offriva il braccio, che mi prestava il cellulare, che pagava la colazione e che mi apriva lo sportello. Effettivamente erano attenzioni che un ragazzo di diciotto anni solitamente non ti riserva. Tornai a guardare mia madre. Il sorriso malizioso non era scomparso dal suo volto.
«Beh?! Cos’è quel sorrisetto? Cos’altro ti ha detto?»
Leila si muoveva veloce in cucina. Prendeva sicura gli ingredienti per riporli subito dopo. Un colpo di spugna, uno di straccio, un giro alle sogliole con la pala forata. Tutto era in ordine come se dietro i fornelli ci fosse la fata turchina. Mentre mi rispondeva era quasi tutto pronto per essere servito.
«Nulla di particolare. Mi ha spiegato dello scambio dei cellulari, ha detto che alla fine non si è rimasto perché, dato che non eri stata un granché bene non gli sembrava il caso di assillarti con la matematica e…»
«E?»
Rise e seguitò a tacere. Le piaceva farmi impazzire.
«Dai mamma…»
Partii con il solletico, quasi sempre convincente visto che era uno dei suoi punti deboli. In effetti non resistette che pochi secondi, tra una smorfia e un balletto improvvisato per sottrarsi alle mie mani.
«Ok, ok mi arrendo.»
Alzò le mani.
«Mi ha avvertito che se ti fossi sentita meglio ti avrebbe invitata per cena.»
«Ehi! Andateci piano. Alla fine non c’è niente tra di noi. Non è che adesso, tu me lo trascini in famiglia…»
Rise forte mentre mi stritolava in uno dei suoi abbracci affettuosi.
«Ma figurati, amore. Dimmi solo se è carino»
«Più bello di quanto tu possa immaginare. È il ragazzo più ambito della scuola. Infatti non capisco perchè si interessi a me. So che per te sono bellissima mamma, ma cerca di essere obiettiva. Non sono certo una che può attirare l’attenzione di uno così.»
Si fece seria, ma senza perdere la naturale dolcezza nell’espressione.
«Rose non c’è bisogno di essere appariscenti. A volte basta essere particolari, diversi dagli altri perché qualcuno ci noti. Tu sei… I tuoi occhi parlano, le tue mani creano meraviglie e il tuo cuore è sincero. Forse è proprio la normalità a distinguerti.»
Mi soffermai a pensare ma non potei dire di essere sicura di aver capito.
Guardai fuori dalla finestra. Il cielo era assolato, anche se il freddo non accennava a mollare. Mancava ancora un mese all’inizio della primavera e allora le vie di Deiva avrebbero cominciato a colorarsi degli oleandri rosa, bianchi , rossi e gialli. Avrebbero riempito le strade di allegria e di aromi inebrianti. Il tepore avrebbe reso più piacevoli le passeggiate sul lungomare. Mi immaginai a sfiorare il tubo blu che faceva da ringhiera lungo la sabbia, camminando accanto ad Alex che mi sorrideva con il suo viso meraviglioso. Scrollai subito il capo allontanando l’idea. Meglio non illudersi.
Le sogliole volarono nel piatto. Una terrina di ceramica bianca era al centro del tavolo colma fino all’orlo di scarola riccia, trevisana e cuori di lattuga, le mie preferite.
Avevo una fame da lupi dal momento che la nausea di poco prima era stata solamente una menzogna. Mi sentii di nuovo in colpa. Raccontare a mia madre delle bugie: non mi ero mai comportata così.
Forse era colpa della vicinanza di Alex. Mi faceva un effetto! Per quanto mi sforzassi ancora non ero riuscita a ricordare quasi niente dei momenti che avevano preceduto il mio incontro con lui. Soprattutto non riuscivo a capire cosa mai mi avesse spinto a scendere alla fermata di Lavagna e perché Liz non fosse con me. Non ci separavamo mai nel tragitto da casa a scuola e viceversa. Anche lei abitava a Deiva, vicino alla chiesa di Sant’Antonio Abate. Ci incontravamo tutte le mattine sugli scalini della stazione e ci lasciavamo sotto il mio citofono. Non riuscivo davvero a realizzare il motivo di quella strana separazione. Cercai di lasciarmi il mistero alle spalle. Forse mi stavo fissando. Però perché non riuscivo a ricordare? Magari Liz lo sapeva! Peccato non avere il mio cellulare e poterglielo chiedere. Sospirai e mi rassegnai ad aspettare. Più tardi avrei fatto una puntatina a casa sua per domandarglielo di persona.

Di nuovo stesa sul letto, di nuovo a studiare il soffitto. Lo stomaco pieno non aveva cancellato l’ansia.
Improvvisamente il cellulare di Alex prese a suonare. Lì per lì non lo riconobbi. Il mio aveva una suoneria del tutto diversa, ma poi me ne resi conto.
Controllai sul display il numero. Era il mio.
«Pronto.»
«Rose, sono Alex, ti prego riattacca e fai il tuo numero con il mio telefono.»
«Ma no non preoccuparti.»
«Aspetto ciao!»
Nemmeno il tempo di replicare o provare ad insistere. Aveva già riattaccato. Mi arresi e chiamai. Sentii un solo squillo prima del suo dolce tono di voce.
«Ehi! Ciao.»
«Ciao testone!»
Rise.
«Chissà che ti costava lasciarmi pagare una chiamata.»
«Allora, come stai?»
Sorrisi della sua finta ingenuità
«Non prendermi in giro. Lo sai che non sono stata male davvero.»
O forse sì. Maledetto cervello addormentato.
Non ricordavo niente.
«Ok, ma mi fa piacere sapere se ti senti abbastanza in forze da sopportarmi stasera.»
Tacqui imbarazzata.
«Solo una pizza e due chiacchiere, ti ridò il cellulare e ti lascio in pace promesso.»
«Figurati. Mi fa piacere.»
«Sicura? Non è che ti sto troppo addosso?»
«Ma no figurati. Dimmi a che ora passi.»
«Veramente sono qui sotto. Avevo paura che mi dicessi di no e in tal caso volevo restituirti subito il cellulare.»
Rimasi letteralmente a bocca aperta.
«Adesso è troppo presto però. Non posso uscire ora e ripresentarmi dopo cena. Devo studiare e…»
«No, principessa. Hai ragione. Scendi solo un attimo. Ti ridò il telefono e volo via.»
«Ok arrivo.»
Riappesi ma non mi mossi da dov’ero. Per un attimo tutto mi apparve strano, incomprensibile. Alessandro Clerici non mi aveva mai degnata di uno sguardo e ora mi stava appiccicato come la carta moschicida. La memoria faceva cilecca, non ricordavo perché non ero andata a scuola. Provai a riflettere ma mi sembrava di avere il vuoto nella testa. Non riuscivo a spiegare niente, non c’erano risposte alle mie domande.
Sbuffai e mi lasciai cadere sul letto. Forse mi stavo facendo troppi problemi.

Due colpi leggeri alla porta mi fecero trasalire.
«Rose ci sei?»
«Dimmi mamma che c’è?»
«Ha citofonato il tuo compagno, quello del cellulare. Ha detto che ti aspetta di sotto.»
«Si mamma, grazie. Vado subito.»
Non solo stranamente interessato, anche fin troppo impaziente direi.
Mi insospettii. I conti non mi tornavano per niente.

Alex mi aspettava appoggiato alla portiera della sua BMW.
«Ciao.»
Mi sorrise appena mi vide comparire al cancello, ma subito dopo parve invaso dalla tristezza, mentre mi porgeva il cellulare.
«Ciao. Grazie. Che c’è?» Raccolsi il telefonino dalla sue mani scambiandolo con il suo.
«Scusami Rose, non so come dirtelo, ma…»
Sembrava davvero imbarazzato.
«Beh! Dillo e basta.»
Teneva gli occhi bassi.
«Non posso venire stasera a prenderti per la famosa pizza.»
Rimasi in silenzio. Lì riprendevano corpo tutte le mie teorie. Non so perché, ma era troppo bello perché durasse. Mi sentii una stupida ad essermi fatta venire dei dubbi riguardo il suo strano interesse per me, dubbi infondati visto che già stava facendo un passo indietro.
«Guarda che non fa niente.»
Finalmente alzò lo sguardo puntando il mio. Mi sentii sciogliere come un pupazzo di neve sotto il sole di primavera. Era indubbiamente fantastico e anche se poco prima mi ero fatta un mare di storie, adesso il bidone mi lasciava un po’ di amarezza.
«Fa invece. Sono proprio un idiota. Ho fatto tanto il brillante con te oggi, poi ti buco così. Davvero scusa, ma mi ero scordato di aver già preso un impegno che non posso rimandare. L’ho ricordato mentre scendevi. Devo accompagnare mia madre a…»
Scossi il capo, decisa ad interrompere la cascata di scuse.
«Davvero non fa niente. Non voglio che ti giustifichi. Ci conosciamo appena, anzi, quasi per niente. Ci andremo alla prossima bigiata ok?»
«Perché pensi di bigiare domani?»
«Assolutamente no. Comunque devo prepararmi per il compito di venerdì. Maledetta matematica, sai com’é…»
«Quindi per domani…»
«Non c’è fretta Alex. Com’è capitato oggi ricapiterà un incontro fuori da scuola e allora andremo a mangiarci la nostra pizza ok?»
Ascoltavo le mie parole come se udissi il discorso di una pazza. In fondo non mi sarebbe costato nulla rimandare alla sera successiva accontentando lui e soprattutto me. La verità era che rifiutavo di farmi delle illusioni su di lui. Era troppo per una come me. Non mi andava di innamorarmi di uno che probabilmente si era impuntato sulla provincialotta e solo perché era stufo di scarrozzare meraviglie da copertina sulla sua macchina di lusso. Non mi andava di trasformarmi nel suo capriccio per poi soffrire quando la carrozza sarebbe tornata una zucca, i cavalli bianchi topi e mi sarebbe rimasta una scarpetta di cristallo da tirarmi in testa mentre mi ripetevo quanto ero stata stupida. Meglio evitare, ferma e decisa.
«Beh! Adesso vado. Scusami ma stavo studiando.»
Mi prese le mani dolcemente fra le sue ed io mi sentii morire.
«Ecco ti sei offesa.»
«Ma quale offesa. Solo non posso cazzeggiare tutto il giorno.»
Sorrise rassegnato.
«Ok, messaggio ricevuto. Allora quando ci vediamo?»
Mi divincolai dalla presa e cominciai a camminare a ritroso in direzione del cancello.
«Domani… Sarò a scuola.»
Lo vidi sospirare, ma feci finta di niente. Gli girai le spalle e varcai di nuovo il cancello grigio senza voltarmi indietro.

Era trascorsa circa mezz’ora da quando avevo varcato la soglia quando il citofono prese a ronzare di nuovo. Un tuffo al cuore mi colpì. Avevo fatto la preziosa, ma la speranza che lui non rinunciasse era viva come una ferita aperta.
«Chi è?»
Il cuore mi batteva tanto forte da farmi credere che sarebbe schizzato dal petto.
«Sono Liz»
Morta. Delusa.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo.
«Rose.. Ci sei..»
Mi scrollai a forza dall’inspiegabile sconforto che mi aveva investita.
«Scusa Liz, sali!»
Dannazione.
Pochi istanti dopo il citofono ronzò di nuovo. Forse il protone non si era aperto. Mi affacciai per lanciare a Liz le chiavi dalla finestra. Succedeva spesso. Se ci fosse stato mio padre sarebbe partito con la solita tiritera che il portone andava sostituito e blah, blah, blah.
Il davanzale era gelato. Il sole mi investì, tanto che ci misi qualche secondo in più per mettere a fuoco la mia amica. Quando ci riuscii vidi uno sconosciuto con una felpa nera e il cappuccio tirato quasi a coprire il viso, camminare velocemente nella sua direzione e sfiorarle la fronte con le labbra prima di passare oltre e fuggire via.
Lei rimase inebetita per pochi istanti. Ero sicura che si sarebbe voltata per riempire di insulti il cretino, ma mi deluse. Rimase in silenzio, sembrava sognante e il suo sguardo era sereno quando me lo rivolse attenendo le chiavi.
«Ehi! Liz ma chi era quello?»
Lei seguitò a guardarmi.
«Quello chi?»
«Quello che ti ha baciata in fronte?»
«Boh!»
Era completamente rimbambita.
Sospirai.
«Lascia perdere. Sali!»
Rinunciai. Troppe stranezze. Troppe per la mia vita monotona e ripetitiva. Lanciai le chiavi. Mentre rientravo lo sguardo mi cadde su una BMW serie 3 coupè parcheggiata sull’altro lato della strada e la malinconia mi pervase.

Di nuovo a pensare e a ripercorrere tutto quello che era successo con Alex. Un minuto mi pentivo di aver rifiutato il suo invito, il minuto dopo mi convincevo che avevo fatto bene. Un ragazzo così non poteva davvero volere me e tutto il suo improvviso interessamento non poteva che essere il crudele capriccio di chi, come lui, ha già tutto quello che vuole. Non sentii nemmeno Liz entrare.
«Ciao Rose.»
Mi voltai di scatto in direzione della voce.
«Ciao Liz.»
Lei lasciò la borsa sulla sedia della scrivania, appese il giubbotto e si buttò sul letto accanto a me, perfettamente a suo agio. Liz era di casa. Passava certamente più tempo nella mia camera che nella sua.
Ci conoscevamo sin da piccole. Sua madre lavorava dal fornaio sotto casa mia. Quanti giochi, scherzi e segreti avevamo diviso, nonostante le nostre personalità fossero state sempre ben distinte. Lei più spregiudicata, più libera. Spensierata e serena. Non perdeva mai il controllo e sapeva perfettamente quello che voleva dalla vita. Io invece l’indecisione fatta persona, la collera improvvisa, la fifona. La sicurezza contro l’incoerenza, il sorriso contro la paura, la spensieratezza contro il caos generale. Adoravo Liz. Era il mio perfetto opposto e forse per questo l’amica ideale.
«Beh! Perchè non sei venuta a scuola stamattina?»
La guardai come se fosse impazzita.
«Come? Ci siamo sentite, te l’ho spiegato.»
Rimase in un silenzio assorto.
«Sei sicura?»
«Sicura di che?»
«Che ci siamo sentite e che me l’hai spiegato?»
La guardai sempre più sbigottita.
«Ma sei scema?»
Non mi guardava. I suoi occhi fissavano il pavimento, la mente era altrove.
«Beh! Ci sei?»
«Sì! Scusa Rose... Mi sa che sono scema davvero.»
Continuava a fissare il pavimento come se, mentre mi parlava, stesse cercando di mettere a fuoco l’immagine di un puzzle i cui pezzi erano in disordine.
«Liz, che c’è?»
«Non lo so. C’è che non mi ricordo niente di stamattina. Buio, vuoto completo, come se avessi perso la memoria.»
Scoppiai a ridere.
«Ok! Cosa ti sei fumata?»
«Cretina! Non ho fumato niente. Anzi non sono per niente tranquilla. Sicuramente sono andata a scuola perché sono fuori di casa, ma non ricordo niente di quello che è successo prima.»
A quel punto stavo fissando lo stesso punto sul pavimento che tanto attirava lo sguardo di Liz, come se la chiave del mistero fosse nascosta fra quelle due precise assi di parquet.
«Ma il deficiente che ti ha appena baciato in fronte? Chi era?»
«E a me lo chiedi? Chi l’ha mai visto? Aveva il cappuccio tirato fin sopra gli occhi e andava di fretta.»
«Credevo lo insultassi! Beh! Si, insomma… Era una reazione prevedibile.»
«Boh! Non ci capisco più niente.»
Rimasi qualche istante a riflettere e improvvisamente ricordai che anche Alex mi aveva sfiorato la fronte con e labbra quella mattina, sul binario della stazione di Lavagna perdendo l'equilibrio. Lì per lì mi era parso un gesto qualunque, ma adesso... Nemmeno io ricordavo nulla di ciò che mi era accaduto, buio completo fino a quel momento. Ebbi l’istinto di raccontarlo a Liz ma mi fermai. Certamente era una coincidenza e poi cosa poteva c’entrare il bacio di Alex con quello dello sconosciuto che lo aveva stampato sulla fronte di Liz.
«Quindi non ricordi nulla di Alex?»
«Alex chi?»
Sorrisi. Anche lei era proprio fuori quel giorno! Incrociai le gambe sotto di me pronta a snocciolargli il racconto della mattina, schiacciata dal pensiero delle conseguenze devastanti che avrei scatenato. Liz era tutto fuorché discreta.
Raccontai e lei rimase ad ascoltarmi come un assetato nel deserto del Sahara. Sembrava un sogno a entrambe. Poi giunti al mio rifiuto, vi furono i francesismi di miss finezza ad esprimeva la sua opinione sul punto.
Dopo un’ora ci rotolavamo ancora sul letto ridendo. Era sempre divertente e bellissimo dividere con lei le mie emozioni.

Un dubbio però rimaneva e tornò ad affacciarsi alla mente rodendomi come un tarlo fino a tarda sera, quando ormai Liz se ne era andata da un pezzo: l’immagine di quel bacio in fronte e i ricordi mattino, volati via e svaniti senza un motivo, sia i miei sia quelli di Liz.

L’orologio digitale sul comodino segnava l’una e mezza di notte quando il cellulare prese a vibrare facendomi sobbalzare. Lo raccolsi senza nemmeno guardare:
«Cosa vuoi Liz?» Risposi con la voce intorpidita.
«Rose.. Sono Alex..»
Di colpo spalancai gli occhi, sveglia come se non avessi mai dormito in vita mia.
«Pronto, sei ancora lì?»
«Sì, ci sono.» Risposi mentre gli occhi focalizzavano l’ora sulla radio sveglia.
«Scusami principessa, so che è tardissimo, ma non riuscivo a dormire.»
Serrai le palpebre incredula e attesi che riprendesse, mentre le dita pigiavano sui bottoni al lato del cellulare per abbassare il volume della voce. Se mia madre si fosse accorta che parlavo al telefono a quell’ora avrebbe dato i numeri.
«Ti prego non prendermi per pazzo, ma stavo ripensando ad oggi e mi chiedevo se in qualche modo ti ho offesa. Ti prego di dirmelo se è così.»
«Alex perché mi sarei dovuta offendere. Sei stato un cavaliere perfetto direi.»
«Sì, ma alla fine ti ho tirato un bidone.»
Serrai le palpebre.
«Alex te l’ho già detto oggi. Non devi preoccuparti.. Ci mangeremo la famosa pizza appena ce ne sarà occasione.»
«A dir la verità pensavo di farmi perdonare questa notte.»
Deglutii esterrefatta.
«Cosa intendi dire^»
«Rose posso rapirti per un’ora?»
Sì, rapiscimi per il resto della vita.
«No, Alex. Non posso uscire di notte. I miei…»
«Non glielo dirai. Ti prometto che non si accorgeranno di niente.»
«Non se ne parla. Non sono capace di inventare bugie, non fuggo la notte e se si svegliassero chiamerebbero l’esercito, la C.I.A. e l’F.B.I. per farmi cercare, certo dopo essere stati rianimati da un paramedico del 118.»
«Un’ora soltanto. Se vuoi chiama Liz e diglielo almeno qualcuno saprà che sei con me, se questo ti fa stare più tranquilla. No voglio farti del male, solo mostrarti una cosa.»
Serrai le palpebre per cercare di scacciare la folle idea di accontentarlo. Non avevo mai commesso gesti tanto spregiudicati. Non ero il tipo da sgattaiolare la notte, anche se mi scoprii a cercare una soluzione per non svegliare nessuno. Se avessi aperto la porta mia madre se ne sarebbe accorta in meno di un secondo. Scossi il capo per cercare di cancellare il pensiero. Non se ne parlava nemmeno.
«Rose sei ancora lì?»
«Ci sono.»
Avevo ancora gli occhi chiusi.
«Ti prego. Ci tengo davvero.»
«No.»Respirai un istante.
«Non posso davvero. Se i miei se ne accorgessero avrei finito di vivere oltre al fatto che si spaventerebbero a morte.»
«Non se ne accorgeranno. Ti prego fidati. Vieni con me. Ti chiedo solamente un’ora.»
Dannato Alessandro Clerici. Perché era così bello e desiderabile? Perché la sua voce era così suadente e convincente. Perché io ero così idiota, fragile e superficiale?
«Alex..»
«Ti prego...»
Sbuffai arresa.
«Alex, anche volendo non ne sarei capace. Non sono mai uscita così di nascosto. Sono sicura che farei un casino madornale che sveglierebbe tutta Deiva Marina e anche se il rumore non fosse esagerato mia madre si sveglierebbe anche se avessi impiegato un secondo in più a respirare.»
«Ci penso io! Salgo a prenderti! Tu vestiti al volo.»
«N..»
Click. Aveva già riattaccato.
«Merda!»
Imprecai. Alla fine aveva vinto lui. Lanciai un’occhiata fuori dalla finestra. Era buio pesto. La radiosveglia segnava la una e quarantacinque del mattino. Ebbi un moto di rabbia, ma non per aver perso la partita. Ce l’avevo con me stessa perché non volevo ammettere che ero elettrizzata.
Mi alzai al volo e mi infilai i Jean's a vita bassa e il maglione che avevo preparato per la mattina seguente. Preparavo sempre tutto la sera prima di andare a letto. Non mi piaceva l'idea di svegliarmi presto per decidere come vestirmi. Adoravo dormire e quindi mi godevo tutto il tempo dedicato al sonno, fino all'ultimo istante.

Il silenzio era totale. Anche il minimo respiro sembrava un rumore assordante. Improvvisamente qualcuno sfiorò la porta della mia stanza. Subito mi infilai sotto le coperte vestita e finsi di dormire convinta che fosse mia madre.
Tenevo gli occhi chiusi. Un respiro mi solleticò l’orecchio.
«Ehi! Andiamo Rose o ci scopriranno.»
Mi girai verso di lui. I suoi lineamenti meravigliosi erano inconfondibili anche alla luce della luna. Gettai via le coperte. Lui cercò la mia mano per invitarmi a seguirlo.
«Ma Alex, se…»
Cercai di obiettare, mentre la forza di volontà mi veniva meno.
«Non ci sentirà nessuno te lo prometto. Tra un’ora sarai nel tuo letto a fare bei sogni.»
Mi sollevò di peso prendendomi tra le braccia.
«Chiudi gli occhi. Ogni principessa che si rispetti va rapita secondo l’etichetta.»
Sorrise, mentre ubbidivo.
Lo sentii muoversi anche se non avvertii altri rumori se non il suo respiro vicino al mio collo. Sembrava che i suoi piedi non toccassero nemmeno terra. La tentazione di aprire gli occhi era fortissima ma mi trattenni. Non sia mai che una principessa che si rispetti oppone resistenza al principe.
Quando l’aria fredda della notte mi investì, istintivamente mi rannicchiai contro il suo petto. Gli occhi sempre chiusi, le orecchie in ascolto. Con un gesto atletico aprì la portiera del mio cocchio e mi adagiò sul sedile anteriore. Aprii gli occhi sul cruscotto della BMW mentre Alex si sedeva al mio fianco.
Deiva Marina era deserta. Addormentata e tranquilla, cullata dal rumore lento della risacca che nessuno era intento ad ammirare. Non sapevo cosa pensare, né riuscivo a rendermi conto di come mi sentivo. Ero combattuta tra la paura di essere scoperta e il fascino misterioso di quell’avventura inattesa. Il mio principe rapitore sembrava tranquillo. Di tanto intanto si voltava a guardarmi, limitandosi a sorridere e probabilmente in attesa che fossi io a rompere il silenzio. Le sue mani scattavano sicure cambiando le marce. I piedi lavoravano di pedale, le dita sul volante spingendo la BMW lungo le curve, fino a raggiungere il piccolo molo d’imbarco dove d’estate attraccavano le imbarcazioni per le gite alle cinque terre.
«Posso sapere perché mi hai rapita?»
Cercai di rivolgergli uno sguardo severo, anche se l’incrocio con i suoi occhi meravigliosi sciolse tutte le mie difese.
«Voglio farmi perdonare il bidone te l’ho detto.»
«Non ce n’è bisogno Alex davvero.»
«Invece sì!»
Sorrise scultoreo come un’opera d’arte perfetta.
La BMW percorse un ultimo breve tratto, scivolando sulla strada come la lama di un coltello sopra una fetta di pane e burro. Il piccolo molo ci si presentò nel buio. Le onde riflettevano i fari gialli puntati verso il basso. Allungai lo sguardo e mi accorsi di un undici metri a motore fermo ad attendere qualcuno e sopra un uomo che cercava di attirare l’attenzione.
«E quello chi è?», domandai appiattendomi contro il sedile di pelle.
«Tranquilla è mio fratello. Lui ci porterà come un fulmine verso la nostra sorpresa.»
M’irrigidii. Amavo il mare. Era il mio compagno fedele sin da bambina, ma un po’ lo temevo in inverno, di notte e al fianco di un quasi sconosciuto.
«Ti prego non dire niente, lasciami fare.»
Probabilmente lesse la preoccupazione nei miei occhi.
«Non temermi Rose. Ci parliamo da qualche ora soltanto ma sai bene chi sono. Frequentiamo la stessa scuola da tre anni e non ho mai riempito le copertine dei giornali per aver ucciso qualcuno.»
«Non è questo…», esitai.
«E allora cosa?»
«Converrai con me che non è proprio normale quello che mi sta succedendo…»
Presi fiato.
«Io sono una ragazza normale, fin troppo. Oserei dire noiosa a giudicare dal nulla che accade nella mia vita. E ora sono in macchina con il ragazzo più desiderato della scuola che, dopo una chiacchierata e un caffè, viene a rapirmi di notte e mi porta via con una barchetta diretta chi sa dove…»
Lui rise forte.
«Cavolo! Ricky si offenderà a morte quando saprà che hai definito la sua “Nimbus 320 coupè” una “barchetta”.»
Mi sentii un po’ in imbarazzo. Il nome non cambiava l’idea che quella cosa galleggiante aveva scatenato nella mia testa. Sentivo solo odore di mistero e la pelle pungeva mendando segnali di pericolo.
Mi guardò di nuovo, intensamente e mi prese la mano.
«Tranquilla! Tra un’ora al massimo un’ora e mezza sarai sotto le coperte, al calduccio, ma prima voglio fare colpo su di te.»
Lo guardai stupefatta e lusingata dall’ultima affermazione.
«Non bastava una scatola di cioccolatini?»
La risata aperta di Alex fu contagiosa.
Non ebbi il coraggio di ribattere e accettai la mano che mi invitava a scendere dalla macchina.

Il fratello di Alex ci salutò con un cenno mentre scendevamo sotto coperta.
«Prego madame. Di sopra fa troppo freddo.»
Lo seguii.
Lui si muoveva lento ma sicuro.
L’arredamento della cabina somigliava a quello della mia camera. I tessuti bianchi e blu, il legno delle finiture e l’alluminio della cucina e dei profili... Inutile negare che mi sentii un po’ più a casa.
Alex camminava dietro di me.
.Mi sentii un po’ a disagio di fronte al letto a forma di trapezio, con le lenzuola bianche che profumavano di gelsomino.
«Niente paura principessa. Sono un cavaliere d’altri tempi. Non le mancherei mai di rispetto, né ci proverei quaggiù.»
Sorrisi, un po’ dispiaciuta ma decisamente sollevata.
Mi sistemai sul letto accovacciandomi per stare comoda. Lui si sistemò proprio davanti a me nella medesima posizione.
«Posso offrirti qualcosa?»
«No, grazie.»
Lui mi prese di nuovo la mano delicatamente. Era molto caldo. La sua pelle sembrava bruciare.
«Levati il giubbotto qui dentro altrimenti sentirai troppo freddo quando usciremo.»
Ubbidii senza protestare. Mi sembrava un’idea ragionevole.
«Tu non hai freddo?»
Mi guardò e sorrise.
«A dir la verità un po’, ma sono uscito in fretta e ho dimenticato di… coprirmi di più.»
«Mi dispiace, non voglio che ti ammali.»
«Non succederà.»

La barca prese a muoversi sulle onde, prima a scarsa velocità, poi con andatura più sostenuta ma sempre prudente.
«Immagino sia inutile chiedere dove stiamo andando...»
«Immagini bene.»
Sorrisi, tesa. Lui parve intuire.
«Ti prego rilassati. Sarà bello davvero. E dopo ti assicuro che non potrai più fare a meno di me.»
Feci una smorfia di compiacimento.

La barca impiegò una ventina di minuti prima di raggiungere la meta. Quando fummo in prossimità del luogo misterioso la sentii rallentare. La tensione ricominciò a farsi strada. Mille domande si affollarono nella mente senza risposta, quindi rinunciai.
«Arrivati?»
«Direi di sì, o almeno quasi.»
Lo vidi sollevarsi dal comodo giaciglio dove avevamo scambiato poche parole e offrirmi la mano per imitarlo.
Mi sollevai velocemente, tesa ma impaziente.
Non ci misi molto a riconoscere uno dei panorami che più amavo nonostante il buio stellato che riempiva la notte.
«Siamo a Porto Venere.»
«Esatto. Chissà quante volte ci sei stata.»
«Un milione direi. Il castello di Lord Byron è uno dei posti che amo di più.»
«Scommetto che non l’hai mai visto sotto la luce con la quale te lo presenterò stasera.»
«Sei proprio deciso a stupirmi allora?»
«No. Sono proprio deciso a conquistarti.»
Mi mise le mani intorno ai fianchi per aiutarmi a scendere dalla barca.
Rivolse un saluto veloce a suo fratello che, davo per scontato ci avrebbe aspettati per riportarci a casa, poi puntò lo sguardo nei miei occhi.
Non disse nulla. Mi prese la mano e sorrise mentre mi tirava leggermente invitandomi a seguirlo.
Il mio piede destro si mosse e la consapevolezza di quanto lui fosse irresistibile m’investì.
Ero nei guai.

Avevamo percorso appena qualche metro quando una voce ruppe il silenzio alle nostre spalle.
«Dove credi di andare maledetto bastardo?»
Sul volto di Alex si dipinse un sorriso divertito mentre si voltava a guardare il ragazzo che gli stava di fronte. Aveva una felpa bianca con il cappuccio tirato fin sopra gli occhi ma non faticai a riconoscere Daniele Di Maggio nel volto dell’intruso. Alex si mosse verso di lui. Gli occhi furenti mentre. Mi spinse dietro le sue spalle, quasi a volermi proteggere.
«Insulta pure uccellaccio del malaugurio!»
Gli si avvicinò lasciandomi indietro.
«Ho vintoooo», gli sibilò, come un serpente pronto all’attacco.
«Stronzate! Hai solo messo a segno un punto.»
Daniele rispose a voce bassa mentre si scopriva il volto ritraendo il copricapo con le dita arrossate dal freddo.
«Lei è mia adesso.»
«Non ancora maledetto!»
Alex rise forte. Poi tornò serio, digrignò i denti e fissò Daniele Di Maggio negli occhi.
«L’hai persa..».Gli girava intorno, sfiorandolo appena, facendogli sentire il suo respiro sul collo scoperto.
«Tutto si ripeterà come con Katia, con Mary e con Asia.»
Un grido di uccello ferito lacerò l’aria.
Mi voltai di scatto cercando di capire da dove fosse arrivato quel suono assordante.
Alex rise di nuovo. Daniele continuava a fissarlo mentre una lacrima gli rigò il viso.
«Piangi piccolino, piangi.»
«Bestia schifosa e viscida! Possibile che tu non sia capace della minima compassione?»
Con uno scatto rapido quanto l’attacco di un cobra Alex strinse la mano destra intorno al collo di Daniele. Io trasalii. Avrei voluto dire qualcosa ma le parole non riuscivano ad uscire dalla mia gola. Sentivo freddo e avevo paura. Non capivo di cosa stessero parlando e la tensione mi gelava il sangue.
«Vacci piano con gli insulti! Hai avuto la tua possibilità di annientarmi, ma non vali niente. Non so quale pezzo di idiota ti abbia messo dove stai, ma certamente se avessi un po’ d’amor proprio spariresti.»
Daniele cercò di reagire, ma più cercava di divincolarsi più la presa sembrava serrarsi intorno al suo respiro.
«Ti fermerò!», gracchio in un filo di voce.
«A sì? E come pensi di fare?»
Scoppiò in una risata sadica, mentre i suoi occhi diventavano rossi e la pelle incandescente.
«Basterà che lei…»
Non riuscì a proseguire. La stretta delle mani di Alex era troppo forte e le dita ustionanti.
«Che lei ami te?»
Scoppiò in un’altra risata prima di gettarlo a terra con forza. Sul collo di Daniele cinque bruciature.
«Ma dico ti sei visto? Sei ridicolo, sei insulso, vuoto…Desiderabile quanto un escremento di cane.»
Rise forte. Io seguitavo a rimanere ferma, incapace di muovere un muscolo.
Alex si avvicinò lentamente a Daniele, ancora steso a terra con le mani sulla gola dolorante.
«Ringrazia solo che non ti abbia ucciso un’ora fa. Se ti ho lasciato in vita è solo perché godo di più a vedere quelli come te contorcersi di sofferenza ogni volta che perdono la partita.»
Daniele si sollevò a fatica su un gomito.
«Non avrai anche lei. Dovessi morire per difenderla.»
Sul volto di Alex si dipinse un sorriso sarcastico.
«Come vuoi cherubino. Inizia a contare i giorni allora. Adesso vattene. Mi stai rovinando la serata e la stai spaventando.»
Daniele si sollevò da terra.
«Rose.»
Lo guardai, senza fiatare. Alex gli si avvicinò di nuovo.
«Ah! Ah! Mossa non consentita!»
Daniele tacque. Strinse i pugni contro le ginocchia e gridò di rabbia, dedicandomi un’ultima breve occhiata prima di fuggire via. Sparì imboccando una viuzza stretta sulla sinistra.
Quando Alex mi raggiunse non avevo il coraggio di guardarlo. L’aria gelida mi frustava le orecchie. La poesia, era svanita.
«Rose…»
Non lo guardai. Lui mi prese il mento fra le dita sollevandomi il viso, invitandomi a mettere i miei occhi nei suoi.
«Scusa! Questo non faceva parte della sorpresa.»
«Cosa voleva Daniele Di Maggio da te?»
Sospirò sorridendo mentre mi accarezzava lentamente il contorno del viso, spostandomi i capelli. Il suo tocco era leggero e mi solleticava la pelle. Era piacevole e delicato. Non sembrava la stessa mano che aveva lasciato quei segni sul collo di Daniele solo pochi minuti prima.
«Rivangare vecchi rancori.»
«Quali rancori?»
«Te li racconterò un giorno. Questa non è l’occasione giusta. Ho altro in mente per conquistarti, che non le storie uno sfigato geloso.»
«A chi ti riferivi quando hai detto quelle cose a proposito di perdere e…»
Non riuscii a finire. Anche l’altra mano aveva raggiunto il mio viso. Teneramente mi stringeva le guance carezzandole con le dita.
«A te. Daniele Di Maggio è interessato a te, come lo era delle ragazze che hanno preferito me a lui.»
Sorrisi, un po’ lusingata dal sentirmi l’oggetto della contesa. Era la prima volta che mi capitava.
«C’ha visti stamattina alla stazione di Lavagna e se l’è presa vedendoci andare via insieme. Spero di non sembrarti presuntuoso e spero tu non ti faccia un’idea sbagliata su di me. Sono solo un ragazzo come gli altri e se mi piace una ragazza non esito solo per uno sfigato.»
«Non essere cinico.»
«Ok, ma nemmeno ottuso! Io vivo la mia vita e se a lui non sta bene, non posso farci niente.»
Rivisitai con la mente le immagini della scena a cui avevo assistito, pesando le parole ed i loro significati. I gesti. La violenza che Alex aveva messo nei gesti.
Arretrai di un passo sottraendomi alle fusa delle sue dita adesso delicate.
«Parlavate di me e delle altre ragazze come se si trattasse di una stupida macchina vinta a poker.»
Non rispose e s’irrigidì.
«Scusa!»
«Non è a me che hai lasciato un regalo sul collo!»
Abbassai la voce e lo sguardo.
«…Almeno… Non ancora.»
Lui mi guardo esterrefatto.
«Non dirai sul serio?»
Si avvicinò di nuovo.
«Rose, volevo difenderti. Divento cattivo quando mi toccano sul vivo. Daniele Di Maggio non è l’idiota che tutti credono. È pericoloso. Io lo conosco da quando eravamo bambini.»
Sospirò, guardando lontano.
«Ok! È venuto sotto casa mia prima che venissi da te stanotte. È venuto a minacciarmi che se non ti avessi lasciata in pace la mia macchina sarebbe finita in mare con me e te a bordo.»
Una risata isterica mi uscì di gola.
«È di Daniele Di Maggio che stiamo parlando Alex… Tutti lo considerano uno sfigato, un idiota. Definirlo pericoloso mi sembra la più abominevole delle cazzate.»
Strizzò le palpebre e serrò i denti.
«Certo. Il povero coglione. Quello da prendere per il culo e da compatire. Ma nessuno sa che è stato curato per problemi comportamentali e che, non so come, è uscito indenne da un’accusa di aggressione ai danni di una di quelle ragazze che ho nominato prima.»
Il suo tono si fece aspro, quasi risentito.
«Lui era il mio vicino di casa. Abbiamo giocato per anni insieme. Gli volevo bene, era il mio migliore amico, ma poi ha cominciato ad essere geloso dell’interesse che le ragazze dimostravano a me e non a lui. Più crescevamo, più io venivo cercato e lui evitato. Si è chiuso in se stesso e non è più voluto uscire con me. Poi il suo stato emotivo è degenerato e ha cominciato a combinare guai di tutti i tipi fino a desiderare le ragazze che frequentavo e a minacciarle. Se una ragazza mi piace, lui la vuole a tutti i costi, fino a fare piazzate come quella di prima e anche peggio.»
Arrossii per la sua affermazione, mentre rabbrividivo per il racconto.
«Non voglio che ti ronzi intorno. Non voglio che ti accada nulla.»
Non lo guardai, troppo imbarazzata per sostenere i suoi occhi.
«Hai anche detto: “Lei è…»
«Mia?»
Annuii senza guardarlo. Lui mi sollevò di nuovo il mento come aveva fatto poco prima.
«Scusa! È che mi piace pensarlo.»
Arrossii di nuovo.
«Lo so: fantasie di un presuntuoso. Però se la piantiamo di parlare di quel pazzo e mi lasci continuare con la mia sorpresa, forse…»
Lasciò quell’affermazione a mezz’aria, colmandola di sottintesi.
Sorrisi e mi lasciai andare.
«Ti prometto che non ti accadrà nulla principessa. Sono pronto al duello verso chiunque osi avvicinarsi.»
«E se volessi un altro cavaliere?»
Mi rivolse uno sguardo dolcemente offeso, mentre sorrideva.
«Li batterò tutti!»
Mi prese la mano e cominciò a camminare archiviando il discorso.
Lo seguii senza più fiatare. Non ero convinta di quel racconto, ma decisi di mettere a tacere la ragione senza più riflettere.»

VAI AL CAPITOLO 3

Edited by gold rose - 30/12/2009, 19:24
 
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gothika85
CAT_IMG Posted on 12/11/2009, 14:14




un briciolo di sano cervello le sarà rimasto o tutto è andato al diavolo con la malìa del tenebroso alex?
non ci vuole molto a fare due più due, gli scompensi di memoria, i ricordi cancellati sia a liz che a rose, gli strani accadimenti.
se poi vogliamo esser sinceri, daniele di maggio ha fatto il primo passo verso sara, non è stato alex.. anzi alex si trovava alla stazione per un caso fortuito dopo aver pedinato dan, per me.. =)
 
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gold rose
CAT_IMG Posted on 12/11/2009, 16:00




Wow! Quello che speravo... Che il due più due fosse chiaro, ma che il terzo capitolo fosse una sorpresa...

Posterò il seguito domani, credo...
Grazie ciccina... Fammi sapere se funziona la storia o no. Attendo con ansia le tutte le Vs opinioni e le Vs. dritte...
Baci baci
--------
Folgo! Aspetto il tuo commento. :-)
 
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Marty@Cho89
CAT_IMG Posted on 12/11/2009, 18:09




Che capitolo lungo!!!wow!!! ^_^
Be cara rose o sei ottusa o le bmw ti danno alla testa??? :P ..ihihi ovviamente scherzo , la storia mi piace ... brava...e odio alex , è così subdolo :lol:
 
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folgorata
CAT_IMG Posted on 13/11/2009, 14:23




Stasera ti faccio sapere God Rse :-)
 
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Oh Yeah!
CAT_IMG Posted on 13/11/2009, 14:56




Bel capitolo, pieno di nuovi indizi.
Certo che anche lei potrebbe usare per un attimino il cervello. Suvvia è ovvia la cosa. Alex il conquistatore, Daniele che ora è diventato il cattivo, Liz e lei che perdono la memoria. Ma dai. Che ragazza xD

Comunque complimenti. Posta presto.
 
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184 replies since 7/11/2009, 11:15   3435 views
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