| Scusate il ritardo. Scusatemi tanto. Ma la scuola non perdona.
I just know there's no escape Now once it sets its eyes on you But I wont run, Have to stare it in the eye STAND MY GROUND, I WONT GIVE IN NO MORE DENYING, I GOT TO FACE IT WON'T CLOSE MY EYES AND HIDE THE TRUTH INSIDE IF I DON'T MAKE IT, SOMEONE ELSE WILL STAND MY GROUND It's all around Getting stronger, coming closer Into my world
Stand my ground- Within Tempestation
****************************
“Mi raccomando, John. Meno patatine e più verdure, oppure ti ritroverai un mal di pancia fortissimissimo. Capito?” sorrisi al bambino, che mi lanciò uno sguardo cupo. “Oh, suvvia, non dovrai mica mangiare verdura tutta la vita! Se no mi diventi un coniglio!” il bambino cominciò a ridere e io gli accarezzai la testolina rossa. “Però per qualche settimana fa il bravo, intesi?” “D’accordo, dottoressa Swan.” Disse, cantilenante, e mi regalò un sorriso sdentato tipico dei bambini di sette anni. Mi alzai in piedi e porsi alla madre la ricetta medica. “Signora Wilson, è solo un po’ di mal di pancia. Tanta verdura e poche schifezze, mi raccomando.” La signora sbuffò, in direzione del figlio. “Hai sentito, John? Voglio vedere poi a casa!” risi, incapace di trattenermi. “Oh, sono sicura che John sarà bravissimo! Vero Johnny?” lui annuì, gioioso. Accompagnai Mrs Wilson e figlio verso l’uscita del reparto pediatria e li salutai con la mano. Gettai un’occhiata all’orologio. Le due e quarantacinque. Avevo fatto un quarto d’ora in più. Sorrisi. Tipico di me. “Marie, nel mio studio.” Fece una voce autoritaria dietro di me. Mi sistemai la treccia e annuii, seguendo il primario nel suo ufficio. Lavoravo lì da quattordici mesi e non poteva dirmi altro se non che era contento del mio operato. Ormai conoscevo il dottor Brown, il primario dell’ospedale della città di Port Angeles. Burbero fuori, con un cuore grande dentro. A lui dovevo tutto. Mi aveva insegnato lui il mio mestiere, mi aveva spronato lui anziché mi laureassi, era stato per merito suo che mi ero laureata con 110 e lode in medicina e poco dopo un anno vantavo il titolo della pediatra più in gamba di Port Angeles. Simon Brown era uno dei pochi che conosce il mio passato, la mia vita. Era uno dei pochi che sapeva che il mio nome di battesimo era Isabella e non Marie, che era solo il secondo nome. “Marie, anche oggi hai fatto straordinari.” Sorrisi. “Dottor Brown, li faccio volentieri…” fece per aprire bocca, ma lo stoppai con un gesto della mano. “E’ solo un quarto d’ora, che sarà mai!” “Il punto è, Marie, che in questo ospedale vigono delle regole e una di queste è che gli straordinari vanno pagati. Ora, tu sei in grado di prosciugare tutto il patrimonio ospedaliero con gli straordinari che fai. Per oggi sei licenziata. Và a prendere Nessie.”Annuii e mi sfilai il camice. “Ah, Marie?” mi voltai, incuriosità. “Domani inizia la sua carriera qui un nuovo dottore proveniente da… dalla Danimarca, mi sembra, ma non ne sono certo… Gli farai da tutor, intesi?” “Perfettamente.” Dissi, sorridendo e mi avviai verso l’uscita dell’ospedale. Quando l’aria fresca di Aprile sfiorò delicatamente il mio viso, sospirai di gioia. Io amo la primavera. E amo questa meraviglioso paese con i suoi quarantamila abitanti. Non è grande come Phoenix, ma è sempre meglio di Forks, con le sue novemila anime. La scuola materna dista pochi minuti dall’ospedale. Si riconosce per il suo edificio rosa e azzurro a strisce e per la colorata insegna all’ingresso. Quando entrai nell’edificio, sorrisi istintivamente. “Buongiorno, dottoressa Swan.” Mi voltai verso Leslie, una delle maestre di mia figlia. “Buongiorno miss Lionel. Vanessa?” lei mi sorrise, cordiale e si voltò. Notai che aveva l’uniforme che usano le maestre delle scuole infantili, tutta sporca di pennellate colorate. “Nessie! C’è la mamma!” pochi istanti e non feci in tempo a vedere un fulmine bruno sfrecciare verso di me che già mi agguantò. Risi, gettando la testa indietro. Non ne potei fare a meno. “Nes!” esclamai, felice, prendendo in braccio la mia bambina. Lei mi abbracciò stretta e strofinò il suo visetto verso il mio collo. “Mammina, mammina!” disse, felice, dandomi tanti baci sulle guance. Ogni volta che la guardo, benedico Mike. Benedico Mike per avermi fatto questo regalo enorme, senza il quale non sarei sopravvissuta. “Si va a casa, Nessie. Prendi lo zainetto che oggi la zia Gee-gee ha preparato la torta ai pistacchi, quella che ti piace tanto!” quando mia figlia sente parlare di cibo, diventa un fulmine a fare qualsiasi cosa, proprio come suo nonno. E infatti raccattò lo zaino in pochissimo tempo e poco meno di cinque minuti dopo, eravamo già fuori la scuola. “Mammina, non è che mica possiamo andare a giocare al parchetto, vero?” mi chiese sbattendo gli occhioni castani e assumendo un’espressione con cui faceva cadere schiavo chiunque la guardasse. “D’accordo, Nes. Ma solo una mezz’oretta, ok?” mia figlia annuì, contenta e quando arrivammo al piccolo parco, sfrecciò subito verso gli scivoli. Io mi sedetti su una panchina e la osservavo, ma non potei fare a meno di alzarmi in piedi quando vidi che stava salendo sull’altalena, e spingerla in alto, mentre lei emetteva gridolini di gioia e mi incitava a spingerla più in alto. Continuò a ridere fino a quando non decisi che il giro sull’altalena era finito e lei non sfrecciò verso il cavallino a dondolo. Sempre buttando di tanto in tanto un’occhiata nella sua direzione, mi avvicinai al chioschetto di gelati vicino nel parco e salutai la gelataia, una mia conoscente che avevo conosciuto un paio di anni prima sui trent’anni. “Buongiorno, Marie.” Mi salutò. “Il solito?” quando io annuii, lei sfilò due coni dal contenitore. Mentre preparavo i soldi, mi rivolse un’aria ammiccante. “Sei già andata a far visita ai tuoi nuovi vicini?” chiese sorridendo largamente. “Nuovi vicini?” ripetei, allibita. “Pensavo che lo sapessi!” fece, con un’aria palesemente stupita. “Hai presente la villa di fronte casa tua?” annuii e con un gesto della mano la incitai a continuare. “Beh, mia sorella… Sai che lavora all’ufficio…” “Si lo so.” Dissi, sbrigativamente. “Allora?” Sarah, la sorella di Silvie –così si chiamava la mia amica gelataia- lavorava in un particolare tipo di ufficio che si occupava di trascrivere con esattezza tutti gli abitanti della città. E siccome – e non ho mai capito perché – facendo questo lavoro si guadagna parecchio, Silvie ci teneva particolarmente a sottolineare il prestigioso lavoro della sorella. “Allora nella villa di fronte casa tua si trasferisce una strana famiglia. I coniugi avranno una quarantina d’anni, e hanno ben cinque figli, sui venticinque anni.” Si arrestò, per vedere se ostentassi qualche reazione. Vedendo la mia espressione praticamente neutra, sospirò, afflitta, e si decise a continuare il racconto. “Ma la cosa che ha sbalordito Sarah, è il fatto che tutte le persone di quella famiglia erano pressoché bellissime. ” Sorrisi. “Beh, famiglia fortunata.” Lei rise con me. “Hai proprio ragione! Comunque quando vai da loro a fargli visita, raccontami tutto.” Quando annuii solennemente, lei parve soddisfatta. “Ecco i coni.” Pagai, salutai, e mi diressi verso la mia piccola Vanessa che era tutta intenta a odorare una margheritina di campo. “Tieni il gelato, Nessie.” Vanessa schizzò in piedi, prese il suo cono e cominciò a leccarlo, sporcandosi tutto il visetto di gelato alla crema. Io feci del mio meglio per non scoppiare a ridere, la presi in braccio e la feci sedere su una panchina e, mentre lei tuffava il suo delizioso visetto nel gelato alla crema, io cercai nella mia borsa un fazzoletto per ripulirle il viso. Quando lo trovai e alzai lo sguardo verso di lei, ridacchiai. Mia figlia era riuscita a sporcarsi pure il naso! Esattamente come me alla sua età. E, ripensandoci, era incredibile quanto la mia dolce Vanessa avesse preso da me. Di Mike non aveva proprio niente, tranne, forse, il taglio degli occhi e la forma del viso. Ma i capelli lisci e setosi, il colore degli occhi, la bocca a cuore e il naso all’insù erano miei. Poi aveva preso il collo elegante da mia madre e la fossetta sul mento da mio padre. Ma il carattere, era di Angela. Si, perché anche se Angela non era sua madre né sua parente di sangue, tra Nessie e Angela c’era un rapporto bellissimo, basato sulla complicità e sulla fiducia. Infatti, per Vanessa, Angela era più di una madrina; era il suo modello da imitare. E io lo notavo ogni giorno di più. Vanessa cercava di imitarne il modo di fare, di parlare, di camminare, persino di mangiare. Angela lo sapeva perfettamente e rideva di questo. E io, devo confessare, che ero un po’ gelosa… Ma tutto sommato era un bene che la mia bambina prendesse esempio dalla mia migliore amica e non da una qualsiasi altra persona. “Andiamo, mamma?” la voce di mia figlia mi distolse dai miei pensieri. Le sorrisi e le porsi la mano, che lei afferrò prontamente. “Ma certo, tesoro.” Mentre percorrevamo la strada che separava il parchetto da casa, mia figlia mi sciorinò tutto quello che aveva fatto all’asilo. Quando mi accennò sbrigativamente che si era fatta un nuovo fidanzatino, la stoppai e scossi la testa. “Nessie, un altro?” chiesi, con aria di rimprovero. Lei si strinse nelle spalle. “Ma mamma, questo è molto più carino…” Soppressi a fatica una risatina. Vanessa era molto bella, ed era una bambina estremamente dolce e volitiva, quindi già da pochi mesi aveva cominciato a farsi dei fidanzatini d’asilo… Quando imboccammo Jasmine square, la via dove si trovava la nostra casa, Vanessa prese a saltellare. Io la rincorsi ridendo e quando giungemmo davanti casa, Angela aprì subito, con addosso un grembiule bianco. Sorrideva. “Le vostre risate si sentono fino a qui. Siete in ritardo.” Vanessa per tutta risposta gli balzò in braccio e la tempestò di bacetti. Io ridacchiai ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle. Un profumo di torta ai pistacchi mi avvolse. “Ehi, che hai preparato?” chiesi, e la risposta a questa domanda era ovvia. “Torta ai pistacchi. Oggi si sono trasferiti qui di fronte i nostri nuovi vicini.” Angela pose per terra Vanessa e si diresse verso il forno. “Ti va di andare adesso a conoscerli?” Annuii. “Dammi il tempo di cambiarmi e mettermi qualcosa di decente.” Angela annuì e prese a fissare la sua creazione da diverse angolature, molto probabilmente si chiedeva se avrebbe potuto decorarla in qualche modo. Io presi per mano Vanessa e la condussi in camera nostra. Nella nostra casa c’erano due camere da letto: quella di Angela e un’altra, mia e di Vanessa, con un letto matrimoniale e un lettino, perché di tanto in tanto Vanessa nella notte voleva dormire accanto a me. “Cosa mi metti, mamma?” chiese mia figlia, zampettando verso il suo armadio. Io la spostai gentilmente e presi un vestito azzurro pastello. Presi a cambiarla e poi ebbi l’idea di raccoglierle i capelli in due codini, legandoli con i nastri dello stesso colore del vestito. Vanessa scelse le scarpe da sola – un paio di ballerine bianche- e si sedette sul lettone. Per qualche motivo, le piaceva guardare la sua mamma che si faceva bella. Presi dal mio guardaroba un twin set bianco e lo abbinai ad un paio di blu jeans. Mi truccai un poco -volevo assumere un aspetto elegante e professionale- e uscii fuori dalla camera assieme a Vanessa. “Ehi, come siete belle!” ci accolse Angela in cucina. “Mi aspettate? Il tempo che mi faccio una doccia veloce… faccio odore di pistacchio!” risi assieme a Vanessa e annuii. “Bella, per piacere metti la torta su un vassoio...” mi raccomandò e poi sparì. Mentre Nessie guardava i cartoni animati, io stavo bene attenta a posizionare il capolavoro di Angela su un vassoio elegante - l’ultima volta avevo fatto cadere la torta rovinosamente a terra e Angela era stata molto dispiaciuta di ciò, non volevo che accadesse di nuovo-. La mia amica arrivò poco dopo. Indossava un paio di pantaloni neri con una cintura molto larga e una maglietta bianca senza maniche. Molto stile anni ’80. “Meno male che sei riuscita a mettere la torta sul vassoio!” esclamò la mia amica. “Temevo di doverla rifare, sai?” io sorrisi con lei. Angela era solita prendermi in giro, ma non lo faceva mai con cattiveria. “Nes, spegni la TV, dobbiamo andare!” fece poi, rivolgendosi alla mia bambina. Nessie spense la televisione e balzò in piedi. Angela prese con cura il vassoio tra le mani e io mi accinsi a far indossare la giacca a mia figlia. Uscimmo di casa e, mentre prendevo in braccio Vanessa, osservai meglio la villa di fronte a me. Era una bellissima villa; io e Angela avremmo tanto voluto comperarla quando arrivammo a Port Angeles anni fa, ma era decisamente troppo costosa. E alla fine, optammo per la casa di fronte. La villa era stata costruita verso i primi del ‘900 su stile prettamente inglese. Giardino ben curato e pieno di fiori di ogni genere e tipo, staccionata che aveva l’aria di esser stata dipinta da poco, un vialetto perfettamente ciottolato, le mura candide e senza l’ombra di una crepa, il portone in legno alto e maestoso che conferiva all’insieme un non so ché di elegante. Salimmo i tre gradii che ci separavano dalla porta e mia figlia si sbracciò per poter suonare il campanello, che rimase premuto per cinque buoni secondi. Intanto alzai gli occhi verso il balcone sopra di noi e notai che era candido anch’esso. Che i proprietari avessero una predilezione per il bianco? “Posso esservi utile?” quando abbassai lo sguardo su quella voce melodiosa, quasi musicale, sgranai occhi e bocca. E a giudicare dall’espressione della persona che aveva parlato, anche lei doveva essere sorpresa di vedermi. Riccioli color caramello, viso dolce e materno, fisico rotondetto ma armonioso… Esme Cullen era davanti a me.
Fine primo capitolo
Grazie a tutte per il sostegno che mi date! La prossima volta risponderò ad una ad una, promesso!
Poi, ecco il videucciolo sulla mia ff che vi avevo promesso! Spero vi piaccia. A breve anche il banner e la locandina!
|