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Scientifically Incorrect, Cinque anni dopo Hogwarts. Una missione unirà il destino di due opposti. [Draco/Herm]

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DolceArya
CAT_IMG Posted on 22/2/2009, 18:38




Ehi Vale!
Splendido capitolo, la storia è sempre più bella e tu sembri persino migliorare.
La scena d'azione l'hai descritta efficacemente, tranquilla.
Sei anche riuscita a creare il pathos, come se vedessi la scena in un film, complimenti.
Draco è perfettamente in character e approvo la scelta di mantenerlo cinico e freddo nonostante questa sarà una dramione. Mi sembrerebbe inverosimile qualsiasi altro suo atteggiamento.
Avevi detto che postavi martedì e invece eccoti qui, c'è speranza di avere presto presto un nuovo capitolo?
Ah, hai per caso finito di leggere la mia ff su GG?
Un bacio, Ale.
 
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spidina
CAT_IMG Posted on 22/2/2009, 18:39




é bellissimo. Questo capitolo è veramente bellissimo.
Certo ci hai mostrato un Hermione che non siamo abituati a vedere al contrario del solito Draco.
Sei stata brava anche a descrivere la scena d'azione e sono ben felice di scoprire che i colpi di scena iniziano ben presto.
Bravissima, bellissimo capitolo.
 
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MissWhite10
CAT_IMG Posted on 23/2/2009, 14:23




CITAZIONE (DolceArya @ 22/2/2009, 18:38)
Ehi Vale!
Splendido capitolo, la storia è sempre più bella e tu sembri persino migliorare.
La scena d'azione l'hai descritta efficacemente, tranquilla.
Sei anche riuscita a creare il pathos, come se vedessi la scena in un film, complimenti.
Draco è perfettamente in character e approvo la scelta di mantenerlo cinico e freddo nonostante questa sarà una dramione. Mi sembrerebbe inverosimile qualsiasi altro suo atteggiamento.
Avevi detto che postavi martedì e invece eccoti qui, c'è speranza di avere presto presto un nuovo capitolo?
Ah, hai per caso finito di leggere la mia ff su GG?
Un bacio, Ale.

Ale, sono contenta che ti sia piaciuto questo capitolo! :D
Sulla scena d'azione ho lavorato molto, scrivendola e riscrivendola... non nego si averci perso un bel po' di tempo xD però, sono abbastanza soddisfatta di com'è venuto fuori, alla fine.
Riguardo Draco... mi sono concentrata parecchio sul suo personaggio e ho cercato di ricreare, tra lui ed Hermione, quello che ad Hogwarts era uno scambio di battute quotidiano, senza censure. Però, nonostante appaia così freddo e distaccato, anche lui è umano, e tra qualche capitolo lo dimostrerò! xD
Ho postato non appena ho finito di rivederlo, questo capitolo era già pronto da un pezzo, ma dovevo limare dei dettagli fondamentali per il prossimo xD Il 4 è quasi finito, ma non ho intenzione di postarlo prima di aver scritto parte del 5... Devo ancora decidere delle cose riguardo la storia, che è troppo ingarbugliata per il mio povero cervellino!
Sono Miss Lentezza e me ne rendo conto, giuro che cercherò di velocizzare il tutto, anche perché, trattandosi di una long-fic, se non postassi con costanza si perderebbe il filo di ciò che è successo nei capitoli precedenti...
Ale, la tua fic l'ho letta e commentata e aspetto con ansia il prossimo capitolo :D Brava, continua così! ^_^
Grazie per tutti i tuoi gentilissimi commenti :P


CITAZIONE (spidina @ 22/2/2009, 18:39)
é bellissimo. Questo capitolo è veramente bellissimo.
Certo ci hai mostrato un Hermione che non siamo abituati a vedere al contrario del solito Draco.
Sei stata brava anche a descrivere la scena d'azione e sono ben felice di scoprire che i colpi di scena iniziano ben presto.
Bravissima, bellissimo capitolo.

Grazie mille *-*
Io adoro i colpi di scena e penso che servano per "risvegliare" una storia :)
Sì, Hermione in questo capitolo è un po' diversa dalla solita ragazzina coraggiosa di Grifondoro, ma non sarà sempre così, prometto! XD È cresciuta ed è più matura adesso, ma non per questo ha perso il suo orgoglio e il suo coraggio... Solo che qui è ancora parecchio confusa, e posso capirla, poverina xD... ha appena scoperto di essere stata ingaggiata per una missione con il suo acerrimo nemico d'infanzia, di sicuro non si aspetta di essere attaccata da un Mangiamorte e non ha ricevuto gli insegnamenti da Auror/Indicibile di Draco, che al contrario resta lucido e cinico di fronte a quasi tutto ciò che succede...
 
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DolceArya
CAT_IMG Posted on 23/2/2009, 15:19




Vale!
CITAZIONE
Riguardo Draco... mi sono concentrata parecchio sul suo personaggio e ho cercato di ricreare, tra lui ed Hermione, quello che ad Hogwarts era uno scambio di battute quotidiano, senza censure. Però, nonostante appaia così freddo e distaccato, anche lui è umano, e tra qualche capitolo lo dimostrerò! xD

Mi sembra una scelta giustissima, assolutamente azzeccata!
CITAZIONE
Ho postato non appena ho finito di rivederlo, questo capitolo era già pronto da un pezzo, ma dovevo limare dei dettagli fondamentali per il prossimo xD Il 4 è quasi finito, ma non ho intenzione di postarlo prima di aver scritto parte del 5... Devo ancora decidere delle cose riguardo la storia, che è troppo ingarbugliata per il mio povero cervellino!
Sono Miss Lentezza e me ne rendo conto, giuro che cercherò di velocizzare il tutto, anche perché, trattandosi di una long-fic, se non postassi con costanza si perderebbe il filo di ciò che è successo nei capitoli precedenti...

Tranquilla, non mi batteresti in lentezza nemmeno sforzandoti.
La vita è un dono è una longfic, ho scritto 49 capitoli (i miei sono + brevi dei tuoi) e purtroppo ho preso la decisione di sospenderla fino alla maturità, perchè è una storia importante per me e non voglio rovinarla scrivendo male per la fretta.
Quindi non ti preoccupare del tempo, chi la segue sa aspettare. Ovviamente spero che tu sia più brava di me e ci metta pocoXD
I miei commenti sono sinceri, ti stimo molto.
Un bacio, Ale.
 
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MissWhite10
CAT_IMG Posted on 24/2/2009, 00:21




CITAZIONE (DolceArya @ 23/2/2009, 15:19)
Tranquilla, non mi batteresti in lentezza nemmeno sforzandoti.
La vita è un dono è una longfic, ho scritto 49 capitoli (i miei sono + brevi dei tuoi) e purtroppo ho preso la decisione di sospenderla fino alla maturità, perchè è una storia importante per me e non voglio rovinarla scrivendo male per la fretta.
Quindi non ti preoccupare del tempo, chi la segue sa aspettare. Ovviamente spero che tu sia più brava di me e ci metta pocoXD
I miei commenti sono sinceri, ti stimo molto.
Un bacio, Ale.

Ah, guarda, per la lentezza non saprei eh! XD Credimi, sono una lumacona io xD
Comunque, approvo la tua scelta image alla fine, l'importante è ciò che verrà fuori, non quanto tempo ci si mette per realizzarlo - sempre entro certi limiti, of course xD -, quindi se ritieni di ottenere un risultato migliore una volta finiti gli esami (che, ne sono certa, ti andranno benissimo ^_^), continuala dopo, quando puoi :D (e io, nel frattempo, approfitto di questo tempo per iniziare a leggerla image)
Nel frattempo, mi accontenterò della fanfic Gossipgirlizzante, che è comunque bellissima :D
 
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Charly'93
CAT_IMG Posted on 25/2/2009, 19:15




scuuusa il ritardo nel commentare, ma ero in vacanza! bellissimo comunque!! image image
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MaryKate_littlewriter
CAT_IMG Posted on 27/2/2009, 16:58




Eccomi vale!Che dire, capitolo fantastico!Loro che si punzecchiano sono divertenti e la scena d'azione è stata bellissima,molto coinvolgente!E la fine...mi stavo rotolando dalle risate...ben gli sta a quell'antipatico!
Posta presto bravissima!Baci!
 
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WhitePorcelain
TOPIC_ICON10  CAT_IMG Posted on 15/12/2009, 00:13




Salve a tutti!
Sono tornata, anche se con un nick totalmente diverso, ma sono sempre io. MissWhite, WhitePorcelain... non cambia poi molto, no?
Fatto sta che, dopo secoli, per varie vicissitudini che non starò qui ad elencare, sono tornata con un nuovo - e sicuramente inatteso - capitolo, della serie "chi non muore si rivede".
Spero che interessi a qualcuno (vi capirei perfettamente in caso contrario xD) e che piaccia.


Home (un)sweet home



Isabelle Appleton De Vigne tirò un profondo sospiro di sollievo.
Non aveva più osato aprir bocca da quando aveva messo piede fuori dalla Sala Conferenze dell’Hotel Savoy.
Intrufolatasi in uno dei lussuosi bagni, si era Smaterializzata con discrezione, ben attenta a non incrociare lo sguardo delle centinaia di medici babbani e Medimaghi che si erano riuniti lì quella sera.
Adesso, al sicuro tra le mura del suo appartamentino ad Hertford Street, poteva permettersi di rilassarsi.
Casa dolce casa.
Lo sguardo le cadde sul salottino semibuio e un’ondata di calore che poco aveva a che fare col riscaldamento la invase.
Non appena aveva adocchiato quel delizioso palazzo rosso scuro, con l’enorme vantaggio di trovarsi in una stradina a metà tra il Green Park e il St. James Park, aveva deciso che sarebbe stata quella la sua nuova casa. Sia per la ferma convinzione nelle cause sostenute dal suo capo, sia perché aveva vissuto per gran parte della propria vita nel mondo non magico, Isabelle aveva preferito affittare una casa nella Londra Babbana.
Dopotutto, non le mancavano certo i mezzi per trovarsi in un lampo nel mondo magico, qualora ci fosse stata un’emergenza.
Gli unici piccoli intoppi erano, di tanto in tanto, i troppi gufi che martellavano i vetri del suo appartamento all’ultimo piano e l’immensa quantità di una strana polvere proveniente inspiegabilmente dal caminetto, di cui la domestica si lagnava in continuazione.
A parte questo, Isabelle non avrebbe mai rinunciato all’indipendenza di una casa propria, per quanto piccola e fuori mano fosse.
Una piccola mansarda dal tetto spiovente che - non importava che fosse poco più di un monolocale - per i suoi standard disponeva di tutto ciò che si potesse mai desiderare: un bagno, una cucina, una stanza poco più grande delle altre che avrebbe poi diviso con un separé, in modo da ottenere sia salotto che camera da letto, e, naturalmente, un camino.
L’aveva scelto principalmente per la sua collocazione, in quanto per nessuna ragione al mondo si sarebbe privata della sua abituale passeggiata quotidiana in un qualsiasi posto che fosse completamente immerso nel verde.
Un’abitudine adottata durante l’infanzia e mantenuta durante i sette, lunghi anni all’Accademia di Beauxbatons.
I magnifici colori, profumi e suoni dolci e ovattati che solo la natura poteva regalarle erano la sua dose di droga quotidiana.
Avventurarsi tra i sentieri era come perdersi negli antri più profondi della mente. Solo lei, la terra e... i ricordi.
Ricordi difficili da districare.
Simili alle radici di una quercia, che non si diramano soltanto in superficie. Penetrano in profondità.
Aveva rinunciato a tante cose pur di trasferirsi a Londra, ma c’era una sola cosa a cui sarebbe rimasta aggrappata con tutte le sue forze.
L’unico ricordo che le restava di lei.
Le spalle appoggiate alla porta in legno scuro, gli occhi socchiusi, Isabelle sorrise soddisfatta, ripensando a qualche ora prima.
Qualunque fosse stato il motivo che aveva spinto il celeberrimo Albus Silente a chiedere un’urgente udienza con il suo capo, per lei non era stata che una fortuna.
Il solo essere l’assistente di Hermione Granger era un onore immenso, ma sostituirla, seppur temporaneamente, durante una conferenza era una possibilità che non aveva neanche mai preso in considerazione.
Si era stupita, e non poco, quando aveva ricevuto la conferma, due anni prima, da parte di Hermione stessa, di essere stata accettata come sua assistente al San Mungo.
Innumerevoli volte si era chiesta perché mai la più promettente Medimaga d’Inghilterra, per di più Ambasciatrice tra i due mondi, avesse scelto proprio lei, una ragazza appena ventenne con esperienza pressoché nulla.
Conoscendola, aveva capito che Hermione non avrebbe sopportato una collaboratrice più anziana di lei che, proprio in virtù degli anni in più, le desse ordini al posto di seguire le sue indicazioni.
Caparbia com’era, l’avrebbe probabilmente licenziata su due piedi.
Isabelle si diede una lieve spinta in avanti e mosse qualche passo nel buio. Si sfilò cappotto e sciarpa e con un gesto fluido li appese all’attaccapanni alla sua destra.
«Lumos.»
Le luci dell’appartamento si accesero di colpo. Arzigogolate lampade da terra e da scrivania illuminavano un soggiorno dalla forma circolare, l’arredamento essenziale e raffinato collimava con il suo gusto minimalista ma al contempo elaborato.
Troppo buio, nella sua vita, per non agognare la soffice carezza della luce. Chiarezza.
Spostando un sottile pannello scorrevole di vetro colorato, Isabelle entrò in camera da letto, comunicante con il soggiorno, e si avvicinò rapidamente alla scrivania.
Scostò infastidita una ciocca dei capelli color mogano dal viso, e puntò lo sguardo sulla cornice argentata di una fotografia dai colori un po’ sbiaditi, ma che nella sua mente era più vivida della realtà stessa.
Una donna cingeva tra le sue braccia due bambine, i folti capelli rossicci arruffati dal dolce soffio del Mistral di primavera.
I leggeri abiti di cotone bianco spiccavano sullo sfondo di un enorme campo completamente ricoperto di lavanda. Viola, bianca e rosa.
Le bambine, entrambe con un braccio paffuto attorno al collo della madre, si stringevano strette la mano, le labbra distese in sorriso. Perfettamente identico.
Sorrisi che a quel tempo non tenevano conto del male del mondo.
Sorrisi che ora bruciavano sulla pelle, arricciando le stesse labbra che tanti anni prima si riflettevano gemelle nel volto delle bambine.
Reminiscenza di un dolore remoto, impossibile da dimenticare.
Dita lunghe e affusolate colpivano nervosamente la superficie lignea dello scrittoio in noce massello.
Se c’era una cosa che Isabelle proprio detestava, quella era l’indecisione. L’incertezza.
Per quella stessa ragione, si concedeva raramente di pensare al futuro. O forse, c’era semplicemente troppo di irrisolto nel suo passato perché fosse possibile concentrarsi su ciò che doveva ancora avvenire.
Il labbro inferiore torturato dai denti perlacei, i movimenti rigidi. Tracce indiscutibili di un dubbio insoluto.
E la soluzione era a pochi centimetri dalla sua mano.
La tentazione di una verità troppo a lungo nascosta, che le corrodeva l’animo.
Infine, dettata dalla coscienza e dalla necessità: la scelta.
La mano destra scattò ad aprire il cassetto prima che il cervello avesse consciamente inviato l’ordine ai muscoli, rivelando un piccolo scrigno di legno intagliato, sul cui coperchio era inciso rozzamente un ghirigoro che sembrava avere la forma di una piccola corona.
Un dono di sua madre, il giorno in cui era partita per l’Inghilterra.
Con un sonoro “clack” sollevò il coperchio e tirò fuori una pila di lettere, di cui alcune ancora sigillate.
Con mano tremante, afferrò la prima, la più recente, e si soffermò a guardare il proprio nome vergato in una calligrafia elegante ed obliqua sulla busta.
Aveva trascorso ore ad osservare quel misero involucro... pregno di verità. Della sua verità.
Isabelle sfilò la sottile pergamena stropicciata, chiaro segno dell’infinità di volte in cui era stata aperta e ripiegata.
Conosceva a memoria quelle dannate sette parole che da pochi giorni ricorrevano nei suoi pensieri, non permettendole di eliminare quel maledetto tarlo dalla testa.
Un picchiettare continuo e fastidioso la distrasse. Proveniva dalla finestra del soggiorno, dove un’ombra in movimento si delineava in contrasto col candore delle tende.
Isabelle lasciò cadere la lettera sulla scrivania e si precipitò a scostare le tende per aprire la finestra.
Un gufo reale planò dritto ad un palmo dal suo orecchio, evitando per un pelo di cozzare contro uno dei cuscini, e si salvò in extremis per un atterraggio di fortuna sul bracciolo del divano.
«Ma che vi danno insieme alle lettere, del FireWhiskey?» sbottò Isabelle, attraversando una nuvola di piume marroni e nere per raggiungere il gufo.
Con poca grazia staccò la missiva dalle zampe artigliate e srotolò una pergamena scritta fitta fitta, che presentava una grafia contorta a lei sconosciuta, e solo delle sporadiche macchie d’inchiostro tradivano la fretta con cui era stata scritta.

Sig.na Isabelle Appleton,
mi rincresce doverla disturbare a quest’ora tarda, ma purtroppo si è verificata una situazione piuttosto delicata che non può essere rimandata. Spero non me ne voglia.
La Sig.na Hermione Granger è stata costretta a partire immediatamente e, trattandosi di una faccenda senza preavviso, non ha potuto preparare i bagagli. La prego, pertanto, visto e considerato che lei è l’assistente della Sig.na Granger, di sistemare nelle valigie gli indumenti e gli effetti personali della Sig.na. Il viaggio potrebbe prolungarsi per un paio di settimane o addirittura superarle, per cui la prego di regolarsi in modo da non farle mancare nulla.
La Sig.na Granger al momento non è in condizione di mettersi in contatto con lei, tuttavia le spedirò io stesso delle regolari missive per informarla riguardo le sue condizioni di salute. Sono inoltre certo che apprezzerebbe se lei potesse continuare il lavoro che finora ha svolto in maniera così egregia, e colgo l’occasione per congratularmi con lei per l’ottimo risultato della conferenza di stasera.
Arrivederci,
Albus Percival Wulfric Brian Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

P.S.: Knut perde spesso l’equilibrio, ma non morde.


Isabelle spostò istintivamente lo sguardo sul pennuto, che ondeggiava il capo come se stesse per cadere in avanti.
«Il nome calza a pennello... Non vali uno zellino.» (la battuta si riferisce al nome inglese di zellini, ovvero, appunto, “knuts”, ndA) sibilò inviperita la ragazza, infastidita che il perfetto ordine del suo appartamento fosse stato intaccato da quel gufo malandato.
Tornò a fissare la lettera, rileggendola più e più volte.
Infine si alzò di scatto, facendo sobbalzare Knut che rotolò definitivamente sul pavimento, e uscì di casa. Non prima di essersi infilata l’altra lettera in una tasca del cappotto.

Il terminal 3, riservato ai voli privati, dell’aeroporto di Ruzyněc di Praga era totalmente deserto a quell’ora della notte.
Gli unici suoni che si udivano in quell’assoluto silenzio erano i loro passi che rimbombavano nella sala e l’attutito fruscio del corpo inerte di Dolohov trascinato senza tanta delicatezza da Draco.
L’Indicibile, osservando con disgusto il Mangiamorte accasciato a terra, sollevò il braccio per pronunciare un incantesimo, quando cinque dita, esili ma decise, si strinsero intorno alla sua bacchetta.
«Ti ha dato di volta il cervello?! Silente ha detto che non possiamo usare la magia!»
Sarebbero potuti passare anche millenni, ma un Grifondoro era sempre un Grifondoro.
E una rompicoglioni, restava sempre una rompicoglioni.
Hermione Granger, per somma disperazione di Draco, incarnava entrambe le cose. Non si smentiva mai.
«Silente non è stato attaccato da un Mangiamorte.» ribatté lui. «E comunque, a farsi i cazzi propri si campa cent’anni, quindi smettila di rompere le palle.»
«Ma chi ti credi di essere?» domandò Hermione, su tutte le furie. Tralasciando il linguaggio scurrile e il tono sprezzante con cui le si rivolgeva, non riusciva proprio a capacitarsi dell’avventatezza del biondino che aveva di fronte. «Dobbiamo essere prudenti!»
Ora stava davvero esagerando.
Come diavolo era possibile che, anche a distanza di cinque anni, ogni volta che quella Mezzosangue apriva bocca gli faceva venir voglia di Schiantarla?
«Dopo tre anni come Auror e due come Indicibile pensi che non lo sappia già?» ghignò beffardo Draco. Non sopportava che gli si insegnasse il proprio lavoro. «È proprio per la mia prudenza che adesso sei qui a blaterare e fracassare i coglioni. Forse avrei anche potuto lasciarti morire… Così, tanto per prudenza nei miei confronti.»
«Vai a quel paese, Malferret.»
«Prima le signore, Mezzosangue.» berciò lui, sfilando la bacchetta dalle dita della Grifondoro. Un Malfoy doveva essere un gentiluomo in ogni occasione, no?
«Che intendi fare? Svegliarlo?»
Santissimo Salazar, perché non aveva ancora fulminato fino all’ultimo Mezzosangue?
«Secondo te che voglio fare, Granger?» sibilò inviperito, lanciandole un’occhiata gelida. «Spremi un po’ il tuo geniale cervellino e vedrai che magari tra dieci anni ci arrivi.»
Hermione sollevò gli occhi al cielo, esasperata, ma decise - più che altro si impose - di non rispondere alla provocazione. Battibeccare poteva essere un passatempo accettabile, persino divertente qualche volta, ad Hogwarts, ma quella era una situazione del tutto diversa.
«Qualunque cosa tu voglia fare, non qui. Potrebbe arrivare chiunque e non è il caso di farci trovare in queste condizioni. Potrebbero arrestarci...»
«Non c’è nessuno.» soffiò l’ex Serpeverde a denti stretti.
Hermione soffocò un singulto. Era pazzo. Ne era convinta.
Anzi, ne aveva la totale certezza.
«Questo non è un buon motivo...» aveva iniziato Hermione, il tono simile a quando, da Prefetto, toglieva punti alle matricole del primo anno che facevano uso dei Tiri Vispi Weasley, ma prima che avesse il tempo di finire la frase apparve una figura in fondo al corridoio.
Un assonnato addetto alla sicurezza, che lanciò loro un’occhiata guardinga, indispettito perché non si aspettava di trovare qualcuno lì a quell’ora. Dal lato da cui proveniva, gli era impossibile scorgere il corpo di Dolohov, celato da una lunga schiera di posti a sedere.
Hermione incrociò il suo braccio destro a quello sinistro di Malfoy, parandosi di fronte a lui e così coprendo con il proprio corpo la bacchetta sollevata a mezz’aria alla vista dell’uomo, e gli si premette addosso, sollevando abbastanza il tono di voce perché fosse sicura che anche l’altro sentisse. «... Non è un buon motivo per non accontentarmi e fare un viaggio alle Maldive, tesoro... Sai che è sempre stato il mio sogno...»
Hermione si voltò, come se si fosse accorta solo in quel momento di una terza presenza, e lanciò un’occhiata angelica all’uomo, che si allontanò con un mezzo sorriso, probabilmente rimpiangendo i tempi in cui anche lui era così affiatato con la moglie.
Non appena ebbe svoltato l’angolo, Draco ed Hermione sciolsero le braccia intrecciate come se si fossero ustionati.
«Dicevi?» sibilò Hermione.
Senza una parola, si infilarono cauti nel bagno più vicino, serrarono la porta ed insonorizzarono la stanza.
Di certo non uno dei più puliti, il bagno era angusto e vi aleggiava un forte odore di fumo. Solo una grande finestra, sulla parte alta del soffitto scrostato, consentiva un minimo, e tuttavia insufficiente, ricambio d’aria.
«Non c’è un dannato camino?!» sbottò d’un tratto il biondino.
Hermione si voltò a guardarlo, sbigottita. «Non conosco le abitudini di voi Purosangue, ma solitamente noi persone normali non teniamo camini nei bagni!»
Draco non si degnò neanche di risponderle e si avvicinò alla volta di una delle finestre, il vetro incrinato dava decisamente un tocco di squallore all’intera stanza. Si voltò, inferocito: «I gufi voi persone normali dove li tenete?»
Allora Hermione capì. Voleva mettersi in contatto con Silente, e per farlo conosceva solo due metodi che non sarebbero risultati rischiosi, o perlomeno solo in parte, in quel frangente: la Polvere Volante per apparire parzialmente nel camino del preside, o, meno immediato e senz’altro più pericoloso, inviargli una lettera.
«Non a portata di mano.» rispose. «Ma fortunatamente noi abbiamo questo.»
Hermione frugò in borsa e ne estrasse un oggetto identico a quello che lui aveva ricevuto poco prima di partire.
Draco aggrottò le sopracciglia, interdetto. Dal poco che ricordava - ogni qualvolta l’argomento prendesse una piega “babbana”, il suo interesse scemava di colpo -, serviva per chiamare qualcuno, ma non era sicuro di cosa significasse. Avrebbe usato una specie di Incantesimo di Appello?
Hermione aprì lo sportellino del cellulare e cercò nella rubrica il numero di Silente; poco prima di premere il tasto verde che avrebbe dato avvio alla chiamata, però, si bloccò, incerta. «È tardi, potremmo disturbarlo... Forse è meglio chiamare domattina...»
«Certo.» asserì Draco, sarcastico. «Però aspettiamo almeno dopo colazione, non sarebbe carino importunarlo e magari fargli andare di traverso il suo succo di zucca. Sveglia, Mezzosangue. Questa è un’emergenza e dobbiamo decidere immediatamente cosa fare se non vuoi passare il resto del nostro magico soggiorno qui con Dolohov sotto le coperte!»
La dottoressa lo fulminò con lo sguardo, infastidita da quel discorsetto intriso di odiosa, pungente ironia. Premette il tasto di chiamata con più forza del necessario e si portò il telefono all’orecchio, in attesa.
Dopo un paio di squilli, la voce profonda e un po’ rauca di Silente attraversò l’altoparlante. «Pronto?»
Hermione ricordava ancora quando il professore, circa un anno prima, le aveva chiesto con insistenza di procurargli un cellulare, affascinato dalle tecniche di comunicazione babbane. Ricordò di aver pensato che fosse stato contagiato dallo smisurato entusiasmo di Arthur Weasley nei confronti di qualunque oggetto - dalla paperella di gomma al computer - proveniente dal mondo non magico.
Perlomeno Silente aveva avuto il buon senso di capire immediatamente che non era necessario urlare a squarciagola per essere udito dall’altro capo della linea.
«Professore» rispose Hermione. «Sono Hermione.»
«Oh, mia cara. Sono sollevato di sentirti, anche se a dir la verità non mi aspettavo una tua chiamata così presto. È successo qualcosa?» Il tono gentile del preside fu incrinato da una nota di preoccupazione.
«Beh, in effetti sì» ammise lei, sotto lo sguardo impaziente del biondino, che la incitava ad andare dritto al sodo. «Siamo stati attaccati durante il viaggio… Da Antonin Dolohov...»
«Siete feriti?» La voce di Silente esplose così forte che Hermione dovette spostare di colpo l’orecchio dall’altoparlante. Forse, in fondo, doveva ricredersi riguardo al buon senso. Attivò il vivavoce e le ultime sillabe di ciò che aveva detto riecheggiarono acute nella stanza.
«Noi stiamo bene e siamo arrivati sani e...»
«Dolohov è con voi?»
«Sì.»
Dall’altra parte della cornetta, silenzio.
Dopo qualche secondo, si udirono dei respiri sommessi, segno che Silente non aveva avuto un attacco di cuore ed era ancora in linea.
«Draco è lì con te?»
«Sì.» ripeté Hermione, lanciando un’occhiata al diretto interessato, che nel frattempo guardava con apprensione quello strano oggetto parlante.
«Draco.» chiamò Silente. Probabilmente fu quel richiamo a risvegliarlo dalla contemplazione.
«Signore.» rispose, la bacchetta sguainata come se il cellulare potesse esplodere e attaccarlo da un momento all’altro. «Sanno che siamo qui, a Praga. E non volevano che ci arrivassimo.»
«In che senso?» chiese Silente, dando voce ai pensieri di Hermione.
«Dopo aver messo K.O. Dolohov, ho interrogato il pilota per assicurarmi che non ci fossero altri intoppi e sono riuscito a farlo cantare: la rotta prevista era San Pietroburgo, immagino che sia l’attuale covo dei Mangiamorte.» riassunse in breve. «Quindi sapevano dei nostri piani e immagino che sappiano anche perché ci troviamo qui.»
Ancora silenzio seguì le sue parole.
Hermione non si era accorta di quanto fossero nei guai. Non aveva neanche avuto il tempo di riflettere sull’attacco, di fare congetture... Invece Malfoy aveva già un chiaro quadro della situazione in mente.
Un passo avanti a lei, ancora una volta.
«È necessario scoprire quanto sanno.» meditò Silente. Dal tono di voce che aveva assunto, Hermione poté facilmente figurarselo sulla sua poltrona ad Hogwarts, le dita ossute che premevano le tempie e i soliti occhialetti a mezzaluna abbassati sul naso. «Dovresti interrogarlo, Draco.»
Draco scrollò le spalle, voltandosi verso il corpo adagiato a terra. Non se lo fece ripetere due volte.
«Innerva.» sussurrò l’Indicibile, genuflettendosi accanto al Mangiamorte.
Dolohov aprì gli occhi di colpo e si guardò intorno disorientato. Draco gli rivolse un sorriso malefico, reso ancor più sinistro dal colorito cadaverico che aveva assunto il suo viso alla luce dei neon.
Quel ghigno non aveva mai lasciato presagire nulla di buono. E quella volta non faceva eccezione.
«Ed ecco il Bel Mangiamorte Addormentato.» disse Draco con un tono deliberatamente sardonico. «Bentornato tra noi.»
Dolohov batté un paio di volte le palpebre, come se non avesse ancora realizzato dove si trovava. Sollevò lentamente lo sguardo su Draco, intontito; probabilmente non aveva neanche colto le parole pungenti che gli erano state rivolte.
«Non abbiamo tutta la giornata.» La voce dell’Indicibile schioccò sonora come una frusta. «Chi ti ha mandato?»
Il Mangiamorte aggrottò la fronte nell’incrociare lo sguardo lampeggiante del biondino, poi lanciò un’occhiata alle sue spalle, scoppiando in una risatina sprezzante alla vista di Hermione.
Il ricordo di parecchi anni prima gli diede un brivido lungo la schiena. Un piacere perverso lo pervadeva ogni volta che faceva del male.
Non aveva dimenticato neanche uno dei volti di chi aveva brutalmente assassinato o anche solo torturato... I lineamenti contorti dal dolore, assolutamente indifesi. In suo potere.
«Il figlio di un Mangiamorte e una luridissima Mezzosangue, alleati per una nobile causa.» commentò, la voce rauca. «Non l’avrei mai detto.»
Il ghigno tirato di Draco si allargò appena e apparve persino meno gelido per una frazione di secondo, appena prima di distendersi in una smorfia. Sollevò la bacchetta all’altezza dell’orecchio, la testa appena inclinata, e sussurrò: «Crucio.»
Dolohov si contorse, la mascella tanto serrata da far scricchiolare i denti nel tentativo non riuscito di non urlare.
Hermione si portò una mano alla bocca e soffocò un sussulto.
Prima che potesse maledire il biondino, una voce tonante si sprigionò dal cellulare: «Draco, fermati.» Silente doveva aver intuito cosa stesse succedendo, ma nonostante tutto aveva mantenuto un tono fermo e perentorio.
Il braccio dell’Indicibile tremò appena.
«Malfoy, basta!» urlò Hermione, gettandosi su di lui per fermare quello strazio atroce, il cellulare ancora stretto in mano. Poteva anche trattarsi di un essere spregevole che aveva trascorso la sua intera vita a macchiarsi di crimini orribili, ma era pur sempre un essere umano. E quella era pur sempre una Maledizione Senza Perdono.
Draco arrestò il flusso di energia che intercorreva tra la sua bacchetta e il corpo scosso dalle convulsioni di Dolohov e abbassò di poco la bacchetta, scrollandosi Hermione di dosso in modo così violento ed improvviso che la Medimaga cadde all’indietro.
Nella stanza, non un suono. Solo tre respiri affannati, e silenzio.
Silenzio, troppa la rabbia e la vergogna per essere espresse a parole.
Silenzio, per lo stupore di fronte ad una reazione tanto aggressiva e apparentemente immotivata.
Silenzio, perché il fallimento bruciava troppo per essere pronunciato.
Se per qualcuno quella situazione di stallo si era dileguata con la stessa velocità di una sensazione, per altri era durata a sufficienza per mettere a punto i primi contorni di un piano.
Ipnotici sguardi d’attesa e d’impazienza incatenati tra loro. Cacciatore e preda.
Come un serpente dopo attimi di contemplazione, Dolohov scattò in modo repentino verso Hermione e le cinse le spalle con le braccia.
«Una sola mossa, Malfoy, e lei è morta.» sussurrò il Mangiamorte. Una convulsione attraversò la sua mano sinistra, ma la destra rimase ancorata al collo di Hermione, che si dimenava nel tentativo di sfuggire alla presa.
«Dolohov.»
Fu allora che intervenne Silente, il tono imperioso era tanto reale da far sembrare che il preside si trovasse in quella stanza. Il nome fu pronunciato quasi come una minaccia.
«Basta così.»
Il Mangiamorte non rispose, ma rimase immobile. Lo sguardo era fisso in quello di Draco, la cui espressione era intellegibile ed irrigidita.
Approfittando di quel momento di paralisi e colta da una rabbia improvvisa, Hermione affondò con decisione il gomito tra le gambe di Dolohov, il quale ululò di dolore e lasciò improvvisamente la presa, e si rialzò di scatto, anche se goffamente.
Passò il cellulare alla mano sinistra e con la destra sguainò la bacchetta, puntandola contro Dolohov in una posizione identica a quella di Draco.
«Non osare toccarmi mai più.» Ogni parola scandita a denti stretti, le guance arrossate e i capelli arruffati.
«Cazzo...» ansimò il Mangiamorte, ancora piegato in due dall’intenso dolore. Sollevò lo sguardo su Malfoy e scosse il capo. «Non ti consiglio di portartela a letto, amico...»
Altro momento di stasi, era come se il tempo si fosse fermato per l’assurda magia di una Giratempo difettosa. Purtroppo, però, era solo un’impressione.
Prima ancora che i due potessero aprir bocca, Dolohov rotolò sull’altro fianco e si rannicchiò su se stesso come un feto, strizzò gli occhi e si Smaterializzò.
Chi fosse entrato in quel momento, avrebbe visto solo due matti in procinto di puntare la bacchetta verso il vuoto.
I lineamenti di Draco assunsero un’espressione furente. «Cazzo!»
E di nuovo, la parola parve dileguarsi nell’eco vuoto del piccolo e squallido bagno.

Dopo un’infinita serie di proteste e parolacce del biondino, erano riusciti a trovare l’uscita di quel labirinto senza fine.
Un taxi li condusse verso Praga 1, nel cuore della Città Vecchia.
Hermione guardava assente gli enormi palazzi influenzati dallo stile gotico e barocco sfrecciarle davanti e si sentì infinitamente abbattuta. Aveva sempre desiderato visitare Praga, ma di sicuro quando si figurava l’immagine di lei sul Ponte Carlo o di fronte al Muro di Lennon, non immaginava neanche lontanamente che potesse essere spedita lì a svolgere un compito per l’Ordine della Fenice.
Per di più, il discorso che Silente le aveva fatto poco prima di salire in aereo l’aveva gettata ancora di più nello sconforto, ed era stato solo allora che aveva realizzato quanto quella missione top secret contasse per il suo ex-preside e di come, date le sue parole, riguardasse l’intera umanità, Maghi e Babbani.
«Hermione, mia cara», le aveva detto Silente, «mi dispiace di averti coinvolto in un affare simile, ma non ho avuto scelta. Scrimgeour stava per affidare questo compito così delicato a degli incapaci e non potevo proprio permetterlo...»
«Signore, la prego, non si preoccupi... Sono... onorata che la sua scelta sia caduta su di me e farò di tutto per portare a termine ciò che mi ha chiesto.»
«Non ho dubbi», aveva riposto Silente sorridendo, «Volevo anche scusarmi per non averla fatta accompagnare da Harry o da Ronald, ma il caso era stato assegnato proprio al signor Malfoy in America, dove ha svolto egregiamente il suo lavoro... Spero che possiate mettere da parte le vostre precedenti incomprensioni per una causa di tale importanza...»
«Naturalmente», aveva detto lei, con una sicurezza che in realtà non possedeva, «io e Malfoy passeremo sopra quella insignificanti liti scolastiche...».
Hermione di tanto in tanto lanciava occhiate cariche d’ansia e rassegnazione all’ex Serpeverde in persona, che sedeva accanto a lei con una mano sulla fronte a coprirgli gli occhi.
Dopo essersi fatti sfuggire Dolohov, non si erano rivolti la parola, cosa che ad Hermione andava benissimo: meglio che scambiarsi insulti tutto il tempo, di sicuro. Forse erano ormai un po’ troppo grandi per quello. Dopotutto, si disse la medimaga, lui sapeva anche essere gentile, e l’aveva ampiamente dimostrato qualche ora prima, durante la loro “rimpatriata” di facciata.
Certo, si trattava solo di una finta, però...
Stupida, si disse. Credi davvero che sia cambiato? Ha già chiarito le sue intenzioni...
Non negava di aver sperato che tra loro due le cose migliorassero ora che erano entrambi cresciuti e costretti a quella convivenza forzata. Anzi, coesistenza.
«Siamo arrivati.» annunciò il tassista con uno strano accento. «Benvenuti a Praga. Buona permanenza.»
Hermione non represse uno sbuffo incredulo che le regalò un’occhiata sconcertata da parte del tassista. Per lei quella sarebbe stata tutt’altro che una visita di piacere, e soprattutto la sua non sarebbe stata una buona permanenza, non in compagnia di Malfoy.
Scendendo dal taxi, sospirò sommessamente ancora con quei pensieri che le roteavano in testa.
Piazza della Città Vecchia, anche conosciuta come Piazza dell’Orologio. La Chiesa in stile gotico di Santa Maria di Týn era illuminata da fari potenti non visibili ad Hermione, che creavano un suggestivo effetto luce-ombra. Altre imponenti strutture, anch’esse illuminate, si affacciavano sulla piazza: la Chiesa di San Nicola, Palazzo Kinský e il Municipio con il famoso Orologio Astronomico, da cui prendeva nome la piazza.
Dal lato opposto rispetto a dove si trovavano vi era un’enorme statua in bronzo e pietra eretta in memoria di un riformatore religioso, Jan Hus.
La neve si posava leggera sull’asfalto e ricopriva ogni cosa, senza discriminazioni. Un manto bianco, puro e compatto, che rifletteva le tenui luci della città.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quella visione magica, si sentiva quasi intimorita da quel luogo così denso di storia e presenze antiche...
«Aspetti forse che i galli cantino?» sbraitò Malfoy, chiudendo lo sportello dell’auto.
Hermione ignorò il sarcasmo del biondino e si voltò senza degnarlo di uno sguardo.
Il taxi si era fermato proprio di fronte ad un edificio del Novecento color sabbia a tre piani. Lateralmente alle finestre del primo piano vergate a chiare lettere brillavano, più scure, le parole “Grand Hotel Praha”.
Sotto una tettoia scura ricoperta da uno spesso strato di neve, vi era l’ingresso semplice dell’hotel. Tadan, ecco la sua cella.
Mentre si avvicinavano a passi decisi verso il bancone della hall, una luminosa sala di moderate dimensioni, Hermione si accostò al biondino, parlò muovendo appena le labbra, contratte in un sorriso forzato.
«Ricorda gli ordini di Silente, Malfoy e ricordati che, ufficialmente, siamo sposati. Quindi niente scenate, niente battute, niente cazzate. Riguardo la roba babbana, lascia fare a me.»
Malfoy le rivolse uno sguardo sarcastico e altezzoso, come a dire che anche se ne sapeva poco e niente - più probabilmente l’ultima - sul mondo babbano, sarebbe comunque riuscito a cavarsela. Tuttavia, annuì con espressione di superiorità.
Da dietro il bancone, una signora sulla quarantina con scuri capelli corti, lo sguardo annoiato, gli abiti senza una piega, sollevò lo sguardo su di loro, ammirando la piacevole vista di quella coppia apparentemente così ben assortita. Lo sguardo della donna indugiò una frazione di secondo di più sull’algido biondo dal corpo scolpito.
Si stampò in faccia il più smagliante dei sorrisi, che rivolgeva unicamente ai suoi clienti, e una candida dentatura fece timidamente mostra di sé da dietro le labbra disegnate dal rossetto da poco ritoccato.
«Buonasera, benvenuti al Grand Hotel Praha.» esordì alzandosi, attaccando a parlare direttamente in inglese. Dopo anni di pratica aveva imparato a riconoscere a occhio da dove provenissero gli stranieri.
In ogni caso, con l’inglese non si sbagliava mai e, conscia della sua pronuncia perfetta, non stentava a mettere in mostra quella sua capacità. «Posso esservi utile in qualche modo?»
Hermione aprì bocca per risponderle, quando il biondino si fece avanti e prese la parola prima di lei. «Abbiamo una prenotazione, a nome del signore e della signora Whitman.»
Tom Whitman e Juliet Maddison. Suonavano bene.
La donna distolse lo sguardo dalla coppia e digitò il nome sulla tastiera, cercando riscontro al computer. In pochi istanti, le apparve la prenotazione. Annuì. «Naturalmente. L’attico, giusto? Dolce luna di miele, eh?»
Al cenno d’assenso stentato di Hermione, la receptionist sorrise e, guardando alle spalle della presunta coppietta felice, fece una smorfia alla vista del facchino. «Portali su prima che faccia giorno.» Nel tono della donna nel rivolgersi al collega, che evidentemente considerava di parecchi gradi inferiore, non c’era traccia della melensaggine di prima.
La donna incrociò le braccia e si sporse sul bancone. «La stanza vi piacerà. Dispone di un letto matrimoniale enorme e di una vista panoramica adorabile.»
Hermione si ripromise di affrontare il panico scatenato dalle parole “letto matrimoniale” in un altro momento e tentò di concentrarsi. «Non...»
«Perfetto, grazie.» la precedette Malfoy. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, in quel momento aveva benedetto con tutta sé stessa la scioltezza con cui riusciva a destreggiarsi quella serpe.
La donna assunse un’espressione di educata sorpresa, ma lasciò correre. «Bene. Mi occorrono i vostri documenti, prego.»
La dottoressa cercò a tastoni la propria carta d’identità falsa nella borsa, poi tirò fuori quella del suo caro marito e la porse con un sorriso alla donna, senza lasciarsi sfuggire l’occasione di pestare “accidentalmente” un piede al biondino insopportabile, che le rivolse uno sguardo di puro disgusto prima di mascherarlo con un’occhiata bonaria.
Ma Draco Malfoy in quel momento si sentiva tutt’altro che bonario. Avrebbe preso a valigiate la Granger e si sarebbe rinchiuso nella comoda suite all’ultimo piano, lasciandola penosamente fuori. Il solo pensiero di dover passare la prima di una lunga serie di notti assieme alla Mezzosangue Zannuta gli provocava un brivido di orrore lungo la schiena.
«Le firme e siamo a posto.» disse la receptionist porgendole una stilografica legata da una catenella d’oro alla base della scrivania.
Quando anche Malfoy ebbe scarabocchiato un ghirigoro che avrebbe dovuto essere una firma, il sorriso della donna si allargò. Fece un fluido gesto con le mani e indicò loro l’ascensore a gabbia alla sua destra, poi consegnò alla coppietta un pass di plastica, che Malfoy stava per ficcarsi nel portafogli quando Hermione, con nonchalance, l‘aveva afferrato e stretto tra le mani.
«Il facchino porterà i vostri...» La donna si interruppe, sporgendosi appena dal bancone con un sopracciglio inarcato. «Oh, vedo che viaggiate leggeri.»
«In verità, hanno smarrito i nostri bagagli.» rispose prontamente Hermione. «Dovrebbero farceli avere domattina, o almeno così ci hanno detto.» Ogni volta che usava il plurale si faceva violenza, ma le toccava stringere i denti e inghiottire anche quella pillola amara. L’ennesima della giornata.
«Capisco.» annuì, annotando qualcosa su un block notes. «Desiderate la sveglia per domattina?»
«Non sarà necessario. Buonanotte... e grazie.» Hermione infilò le carte d’identità dentro la borsa e si diresse a grandi passi verso l’ascensore.
Non si scambiarono né una parola né un’occhiata fino a che le porte d’ottone non si furono richiuse e il portiere, che non mancò di lanciare uno sguardo di apprezzamento in direzione delle gambe di Hermione, sceso nuovamente al piano terra.
Malfoy la fulminò con gli occhi grigi assottigliati. «Per quale cazzo di motivo mi hai strappato quel cartoncino di mano prima? Quella mi ha guardato come se fossi scemo!»
In un altro momento, Hermione avrebbe socchiuso gli occhi e si sarebbe imposta la calma, contando fino a dieci, come minimo, prima di parlare. Sfortunatamente, sfiancata dal viaggio e irritata dalla sola presenza del biondo accanto a lei, non era in vena di paroline dolci.
«Beh, magari perché lo sembravi, razza d’idiota!» sbraitò, poi gli gettò il pass in faccia. «Se proprio ci tieni, te lo puoi anche prendere.»
«Certo che me lo prendo!» berciò a sua volta il biondo, avvicinandosi tronfio verso la porta con il pass stretto in pugno. Con stupore, notò che non vi era maniglia, allora prese a studiare il piccolo pezzo di plastica tra sue mani. Sembrava un bambino confuso da una grande novità.
Sempre in un altro momento, Hermione sarebbe scoppiata a ridere per l’espressione sul suo volto... c’era anche da dire che Malfoy, in un altro momento, avrebbe evitato di manifestare sorpresa di fronte alla Mezzosangue.
Silenzio.
La punta delle scarpe vertiginosamente alte della mora battevano impazientemente a terra, le gambe incrociate all’altezza del seno, un sopracciglio inarcato come a dire “Visto che non sai fare niente?”.
«A che cacchio serve, ‘sto cartoncino?» sibilò infine Draco.
La dottoressa si fece avanti, gli strappò il cartoncino in questione dalle mani e lo passò verticalmente attraverso le due fessure a lato della porta in ciliegio, che si aprì senza cigolare. La giovane donna gli scoccò un’occhiata di superiorità ed entrò a testa alta nella suite.
Draco, furente, entrò e si sbatté la porta alle spalle.
La camera di sicuro non deludeva l’immagine dell’hotel a quattro stelle. La porta si apriva su un soggiorno riccamente arredato con mobili antichi, il parquet ricoperto da tappeti persiani dal valore inestimabile e piccole piante di stelle di Natale erano sparpagliate per l’intera stanza.
Superato il salotto, si accedeva ad un’altra camera piuttosto ampia, ma priva del lussuoso arredamento del soggiorno, vi erano solo un cassettone in stile impero e un tavolo rettangolare in ciliegio scuro. Ad est della stanza, si elevava una scala a chiocciola che chiaramente conduceva alla temibile camera da letto.
Hermione poggiò una mano sul pomello in ferro battuto della scala e si voltò.
Draco si guardava intorno diffidente, misurando a grandi passi la stanza. Quel mondo non gli apparteneva.
Entrambi rimasero così, in silenzio, ma la cosa che notarono con orrore era che quell’attico sembrava essere stato arredato proprio per una felice coppia sposata.
Loro non erano né sposati, né una coppia, né tantomeno felici.

 
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TwilighterN1
CAT_IMG Posted on 15/12/2009, 18:49




Ehi!!! Davvero fantastica! Bava! Complimenti! Ascolta, già che ci sei, commenteresti anche la mia?
 
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erica'
CAT_IMG Posted on 16/12/2009, 23:19




Ciao, io sono Erica. Mi piace questa FF, davvero! Sono anche io una fan di HP e la coppia Dramione devo dire che mi piace, sìsì. Inoltre scrivi davvero bene e la trama è proprio avvincente!
Voglio proprio vedere cosa succederà :) Continua presto, ciao!!
 
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MissWhite10
CAT_IMG Posted on 12/4/2012, 09:17




Ebbene sì, a distanza di anni (so che sembrerà veramente assurdo, ma ho praticamente smesso di scrivere. Qualche giorno fa, in preda ad un raptus, forse, mi è tornata la voglia e ho deciso di continuare questa fanfiction abbandonata. Buona lettura!




Good Morning, Sweetheart!







Antonin Dolohov percorreva a grandi passi un lungo corridoio, soppesando le possibilità che aveva di vivere.
Non era mai stato un asso con i numeri, ma sapeva bene che la percentuale di vita in caso di fallimento, specie se riguardo ad una questione di tale importanza, era minima, se non inesistente.
Sapeva bene che a nessuno sarebbe importato di quanta gente avesse ucciso in passato o come avesse svolto i compiti assegnati. Dovevano solo essere portati a termine. Con successo.
Missioni, vivere o morire.
“Il fine giustifica i mezzi” sarebbe stato un ottimo motto per loro, i Mangiamorte. Più sicari che maghi.
Da quel punto di vista, tutto era rimasto immutato dai tempi del grande Signore Voldemort, ma riguardo al resto… Il nuovo capo era esigente, ma amava agire in modo più sottile e prevalentemente in segreto, anche perché lo circostanze lo richiedevano.
La tenue luce della luna era filtrata dai fitti e nodosi rami degli abeti, e disegnava ombre sinistre sul pavimento e sulle pareti lignee. Ogni suo passo rimbombava nel corridoio, seppur attutito dalla lunga sfilza di tappeti consunti e dai pesanti ritratti appesi alle pareti.
Situato nella periferia più isolata della gelida città russa, quel posto rappresentava il nascondiglio perfetto. Un’enorme villa barocca, appartenuta secoli prima ad un mago piuttosto potente che di certo non aveva fatto parsimonia di misure di precauzione. O si trattava di un ricercato come loro, o soffriva di eccessive manie di persecuzione.
L’alone di magia che circondava la proprietà era percepibile ad ogni respiro, perlomeno per un mago, tanto era avvolta da sortilegi antichi. Tuttavia, per un Babbano sarebbe stato impossibile anche solo immaginarne l’esistenza, e nessuno che fosse sprovvisto di parola d’ordine e di tanta voglia di uccidere, o morire, poteva accedervi.
Neanche la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts avrebbe potuto competere con la “sicurezza” di quel rifugio.
Rifugio? Forse “covo” sarebbe la parola più adatta per quel luogo in cui non si sentiva voltare una mosca; un silenzio tanto intenso da rimbombare di morte. Non che, d’altra parte, i Mangiamorte si aspettassero un attacco esterno: avevano fatto in modo da far dubitare persino agli Auror più qualificati della loro sopravvivenza.
O almeno era stato così fino a qualche ora prima.
Un brivido di terrore e vergogna percorse la schiena del Mangiamorte non appena ebbe formulato questo pensiero. Non solo aveva messo a repentaglio l’intera operazione, ma si era anche fatto scoprire ed incastrare da quel piccolo traditore del suo sangue di un Malfoy…
La figura di una donna in avvicinamento dalla fine del corridoio si delineò man mano che avanzava verso di lui. Passi impercettibili, quasi fosse una piuma a sfiorare la dura pietra. Impossibile non riconoscerla dall’andatura e dalle movenze sinuose.
«Dolohov.» Il nome fu pronunciato con un forte accento russo ed il tono di voce era morbido e sensuale. La donna si fermò a pochi passi dal Mangiamorte e, dopo aver riavviato la propria chioma bionda all’indietro, premette il proprio corpo contro il suo nel modo sfrontato di chi è abituato ad una certa confidenza, facendo sì che egli potesse godere della pressione dei seni contro il suo petto. «Vieni da me dopo?»
Il Mangiamorte, sedotto da quell’improvvisa vicinanza, avvertì i propri movimenti come dolcemente rallentati, ammorbiditi, ed un velo di libido parve offuscargli la mente. Sarebbe stato bello potersi abbandonare a quello schianto… Scosse il capo.
No, certo che non poteva. Tra tutti i momenti, quello era il più sbagliato.
Dannata Veela. Una prostituta professionista.
«Lontana da me, arpia.» disse brusco, sollevando una mano come per schermarsi da quel potere tentatore, e fece un passo indietro.
La Veela, quasi inumana nella sua bellezza algida, fece una smorfia ed emise un soffio che assomigliava ad un ringhio, gli lanciò un’occhiata disgustata, soffermandosi un attimo di troppo sull’abbigliamento da steward – e quindi, da “schifoso Babbano” -, e gli voltò le spalle, allontanandosi rapidamente com’era arrivata. «Mpf.»
Rimasto solo, sentì la stanchezza e la delusione piombargli addosso come un macigno.
Ma fu solo quando la porta davanti la quale si era fermato si aprì che seppe di essere spacciato.


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In un’altra città, una giovane donna si rigirava da una parte all’altra in un gigante letto a tre piazze senza riuscire a trovare pace. Non era riuscita a dormire neanche un’ora di fila, tanto era ansiosa per la situazione in cui si trovava.
Hermione battè impaziente le braccia sul materasso dalle lenzuola linde, e fece leva su di esse per mettersi seduta. Lanciò un’occhiata depressa alla stanza elegantemente ammobiliata: una grande finestra ovale alle spalle del letto inondava di luce candida la stanza, riflettendo quel pallore tipico delle prime ore del mattino sul parquet lucido e ben curato e sulle mura imbiancate.
Su un lato della camera da letto si stagliavano due sedie in stile impero ed un tavolinetto: in uno scenario del tutto diverso sarebbe stato il perfetto ritrovo per un tè con una cara amica, un antro di confidenze e pettegolezzi. Nella triste realtà, sulla spalliera di una delle sedie era abbandonato l’abito rosso rubino, unico indumento che possedeva in quel momento.
A piedi nudi, avvolta dall’accappatoio niveo dell’albergo, scese dal letto e si alzò in piedi, ponendosi al centro della stanza. Da lì riusciva a vedere al di là dei vetri della finestra, le cime dei tetti innevati. Doveva aver nevicato tutta la notte.
Si lasciò andare ad un sospiro profondo, insoddisfatta. Alla sua destra si trovava una scala a chiocciola in ferro battuto che – si disse – prima o poi avrebbe dovuto percorrere ed incontrare quella serpe tremenda.
Scosse il capo: no, non era ancora pronta per quello.
Dal piano di sotto non si sentiva neanche un fiato, almeno non da quando Malfoy se n’era andato borbottando e maledicendola.
Saranno state le sei del mattino, orario in cui abitualmente si svegliava piena di energia, felice della routine quotidiana che si era costruita nel corso del tempo e del lavoro per cui era stimata e rispettata da colleghi e amici. Avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi a Londra: non era partita neanche da ventiquattrore e già le mancava tutto ciò che vi aveva lasciato.
Ma piangersi addosso non sarebbe servito a nulla. L’autocommiserazione doveva essere sostituita dall’azione.
Hermione si diresse verso la porticina in legno dall’altro capo della stanza che, a rigor di logica, doveva essere il bagno.
E che bagno! Per poco non le venne un colpo. Costruito totalmente in granito, fatta eccezione per le visibili travi di legno sul tetto, era ampio e di estremo lusso.
L’ex Grifondoro concentrò tutta la propria attenzione sul box doccia dal vetro trasparente, girò la manopola per regolare l’acqua e far sì che la temperatura fosse più che tiepida, quasi bollente, per poi privarsi con un movimento agile dell’accappatoio e abbandonarlo su un apposito ripiano, dove altri asciugamano erano piegati con cura.
Lasciò che l’acqua scorresse sul suo corpo e chiuse gli occhi, tentando di distrarre la mente dalle preoccupazioni.
Si sentiva sola. Piacevolmente sola. Per una persona che gode della propria indipendenza, quello è un momento importante e necessario, ogni tanto.
Ripensò con calma alla sera prima, a come si era sentita in balìa degli eventi, e nonostante sapesse bene che, una volta privata di quel getto caldo e confortante e uscita da quel bagno principesco, avrebbe dovuto fare i conti con la dura realtà, si concesse dei momenti per analizzare il tutto sotto una luce diversa. Doveva sforzarsi di essere positiva.
Insaponandosi con il bagnoschiuma fornito dall’hotel, si concesse uno sbuffo rabbioso ed al contempo soddisfatto, al pensiero di come fosse riuscita ad avere la meglio sul biondino, la sera precedente. Quell’egoista pretendeva addirittura di avere il letto tutto per sé, noncurante di dove lei avrebbe passato la notte. Avrebbe goduto da morire nel vederla contorcersi sul pavimento per cercare una posizione comoda: era abituato a chi gli faceva da zerbino, in senso reale e figurato. Davvero non aveva idea di come trattare una donna.
Dopo una guerra fredda durata più di mezz’ora e intervallata da insulti, il biondo si era convinto a lasciar perdere – a quanto pare, nutrivano lo stesso disgusto all’idea di condividere il letto - , ma, conoscendolo, Hermione poteva star certa che avrebbe rivendicato la sua rivincita. Non era da lui arrendersi.
Fresca e pulita, adesso sì che poteva affrontare un nuovo giorno. Beh, forse.
Si avvolse in un nuovo accappatoio, morbido e bianco, e aveva già mosso il primo passo all’interno della camera da letto, lasciandosi alle spalle il bagno pieno di vapore acqueo, quando udì il suono acuto del campanello. Qualcuno era alla porta.
«Oh, cavolo…» sussurrò, infilando in fretta le pantofole di stoffa. Scese in fretta la scala a chiocciola, dimentica della presenza del biondino pochi scalini sotto di lei, finché non se lo trovò di fronte.
Hermione represse un sussulto.
Malfoy era a petto nudo, la camicia malamente abbandonata sul divano in cui aveva passato la notte – notte infernale per lui almeno quanto lo era stata per la dottoressa, a giudicare dalle lievi occhiaie sul suo viso -, i pettorali scolpiti, frutto di una costituzione sana quanto di rigorosi allenamenti, e la chioma bionda scompigliata. Tutto questo gli dava un’aria dannatamente sexy.
«Per la barba di Merlino, che stai facendo?» esplose la giovane donna, mentre un rossore diffuso faceva capolino sul suo volto. Aveva dimenticato quanto fosse affascinante, e la visione di lui parzialmente svestito la imbarazzava da morire.
Lui non rispose.
«Metti via quella bacchetta!» aggiunse Hermione, quando il campanello suonò ancora una volta. Si riavviò all’indietro i capelli, avanzando lungo l’ingresso, e aprì, non prima di essersi accertata che lui avesse fatto ciò che aveva detto - con suo sommo stupore, notò che lui doveva essersi ricordato delle “norme di segretezza” e capito che per i Babbani non è il massimo essere accolti con un’asta di legno magica puntata alla gola.
«Buongiorno, signora Whitman, sono venuto a portarvi i vostri bagagli.» il facchino indicò il carrello in ottone dietro di sé, carico di una valigia nera di medie dimensioni, e altre due beige che Hermione riconobbe essere sue. Avrebbe dovuto promuovere Isabel per essere stata così efficiente e averla salvata.
«Certo… Prego, entri pure.»
«Le desiderate al piano di sopra?» domandò, dopo aver scaricato con agilità le valigie. «Oh… Mi dispiace, signori, sono mortificato, non volevo disturbare. Posso… Posso tornare più tardi, se preferite…»
Lo sguardo del facchino, un giovane ragazzo sui vent’anni, si era posato su Malfoy, apparentemente rilassato e senza un minimo di vergogna per lo stato in cui si trovava. Lui più spogliato che vestito, lei in accappatoio: facendo due più due, era facile arrivare alla più orribile e sbagliata delle conclusioni.
Mai come in quel momento Hermione aveva desiderato di sprofondare nel pavimento o di nascondere il viso, ora purpureo, sotto un tappeto. Sarebbe andata benissimo anche una tenda o un cuscino.
Malfoy, al contrario, sembrava a suo agio e non fece nulla per smentire quell’assurda idea. «Ormai siamo stati interrotti. Faccia pure ciò che deve fare.»
I due uomini si scambiarono un’occhiata in tralice (a giudicare da come il ragazzo aveva posto lo sguardo su Malferret, sembrava provare invidia nei suoi confronti, forse perché poteva avere la dottoressa, o “signora Juliet Whitman”, tutta per sé) ed Hermione odiò profondamente entrambi, persino il facchino che, dopotutto, non aveva fatto nulla di male a parte pensare.
Quasi ci fosse una congiura architettata contro di lei e contro le generali norme di buon senso, una cameriera tutta curve si fece largo a fatica nel corridoio, ristretto dalla presenza del carrello, con un enorme vassoio che portava con sé i dolci aromi del caffè, cornetti appena sfornati e spremute d’arancia.
Poteva andare peggio?
«La colazione.» affermò, ovvia, la donna, a cui Hermione rispose con un debole cenno del capo, incapace di sorridere o di sforzarsi in una qualunque espressione.
In un altro momento, la Medimaga sarebbe stata più che lieta di non dover condividere la stanza solo con quel Serpeverde e avrebbe accolto bene chiunque altro avesse fatto da diversivo, ma trovandosi in quella circostanza così fraintendibile, non vedeva l’ora che se ne andassero. Tutti.
Alla fine, in un tempo che all’ex Grifondoro parve infinito, se ne andarono.
La colazione era stata servita nella camera adiacente all’ingresso, sullo scuro tavolo di ciliegio; era rettangolare e sufficientemente lungo perché i due potessero stare a debita distanza l’uno dall’altra. Infatti, Malfoy aveva già preso posto ad uno dei due capi e addentava un cornetto alla marmellata. Si comportava già come se lei non esistesse.
Ok, la sera prima in aereo era stato piuttosto chiaro riguardo le sue intenzioni, ma non sarebbe riuscito a scamparla.
«Cosa diavolo credevi di fare?» lo interrogò Hermione, ancora rossa in viso, tentando di non fremere per la rabbia. I pugni chiusi, lo fissava duramente con gli occhi dorati. «Avranno pensato che…»
«Cosa?» interruppe Draco, sfarfallando le ciglia. L’immagine dell’innocenza. «Non sono un bravo marito? Vuoi già il divorzio?»
«Bastardo.»
«Senti, è una cosa normale, lo fanno tutti.» replicò lui, impassibile. «Tranne te, Miss Castità. Quindi smettila di blaterare già di prima mattina.»
Se c’era una cosa che Hermione Jane Granger non sopportava erano i riferimenti alla sua vita privata; non aveva mai concesso a nessuno una confidenza tale, eccetto che a Ginny Weasley, ma era stata la sua migliore amica per più di dieci anni, e secondo la sua concezione, era l’unica ad avere il diritto di parlare, e soprattutto chiedere, di certe cose.
Chi si credeva di essere, quella serpe velenosa, per parlarle in quel modo? Il suo primo istinto fu di recuperare la bacchetta dalla borsa e Schiantarlo, per il puro piacere di farlo. Forse stava diventando un po’ come lui.
Invece, sorprendendo anche se stessa, si limitò ad un: «Vaffanculo, Malferret.»
«Sbrigati, ora, dobbiamo darci una mossa e andare in un posto.» replicò lui senza scomporsi minimamente nonostante lei lo avesse appena mandato a quel paese.
«Cioè dove?» chiese col tono di chi non ha voglia di andare proprio da nessuna parte, soprattutto con una certa compagnia alle calcagna.
«Granger, quanto la fai lunga.» Draco schioccò la lingua, che di certo preferiva usare per darle sui nervi piuttosto che per una spiegazione esaustiva. «Stanotte è arrivato un gufo da Silente. Dobbiamo incontrare il nostro contatto. Che c’è, sei triste perché non sei più la cocca del prof, adesso?»
«Di chi si tratta?» domandò lei. Era irritante dover estrarre le informazioni con le tenaglie a quello stronzo, era ovvio che voleva lasciarla in disparte. Per di più, durante la loro breve conversazione, il preside di Hogwarts non aveva mai accennato ad un “contatto”. Certo, era rassicurante sapere che ci sarebbe stato qualcuno pronto ad aiutarla… Ok, aiutarli, in caso di necessità.
«Quante domande. Perché non ficchi le tue zanne in un cornetto e mi lasci in pace?» ribattè acido, lanciandole un’occhiata. Di solito non brillava di simpatia, ma la mattina non era proprio il suo momento migliore. Hermione aveva inarcato un sopracciglio, chiaro segno che non aveva intenzione di andarsene a spasso con lui come un cagnolino senza sapere chi dovevano incontrare. «Lo vedrai.»

Quella Mezzosangue era una palla al piede.
Da quando si era trasferito in America, Draco era sempre stato coinvolto in operazioni pericolose e la sua vita era stata messa a repentaglio più volte di quante riuscisse a ricordare, ma la caratteristica che più apprezzava del suo lavoro era la possibilità di lavorare da solo. Non per niente il suo soprannome in Ufficio era “Lupo Solitario”.
Di tanto in tanto, sì, gli incarichi venivano affidati a coppie di colleghi, ma era gente di cui ci si poteva fidare, perlopiù uomini, come il suo vecchio amico Nott. Completata una missione, andavano in giro per bar a bere birra e rimorchiare, a celebrare la vittoria con una sana e meritata scopata.
Sì, era una visione alquanto maschilista, ma chi se ne frega.
La Granger era lenta. Aveva impiegato quindici minuti solo per disfare una delle due valigie e a riporre gli abiti, rigorosamente ben piegati, in ogni fottuto cassetto, per poi avere addirittura l’ardire di perdere altro tempo per prepararsi.
Era più rapida di altre donne con cui era stato – o per meglio dire, con cui era andato a letto -, ma nessuna di quelle avrebbe potuto intralciare e compromettere un’operazione.
In quell’arco di tempo, lui aveva già fatto una doccia veloce e si era cambiato. Ci voleva tanto?
«Mpf.»
Quello doveva essere all’incirca il dodicesimo sbuffo emesso dalle labbra seriche del biondo mentre sfrecciavano per le strade della capitale ceca.
Un ulteriore manto di neve aveva ricoperto l’asfalto durante la notte: i marciapiedi erano pieni di ghiaccio e dalle tettoie dei palazzi pendevano delle pericolose stalattiti, alcune raggiungevano persino la misura di un metro.
Nelle prime ore del giorno aveva smesso di nevicare, e il cielo era rischiarato da un tenue raggio di sole che faceva capolino da una coltre di nuvoloni grigi.
Quando il taxi iniziò a rallentare e si accostò accanto al marciapiede di una lunga strada, Draco capì che finalmente dovevano essere arrivati. Lasciò che pagasse la Mezzosangue con un moto di disprezzo per i Babbani: imparare a Materializzarsi poteva essere arduo all’inizio – per i più imbranati, poi - ma almeno era gratis.
Una brezza gelida, tipicamente invernale, accarezzava il fiume Moldava increspandone le acque tranquille e, in alcuni punti, ghiacciate.
Draco notò che la Granger, a cui durante tutto il tragitto non aveva neanche rivolto un’occhiata, si era stretta nel cappotto scuro, quasi stesse abbracciando la sua stessa figura, che nel compiersi di quel gesto appariva minuta e fragile.
Non gliene fregava niente. Il pensiero più pressante riguardava l’incontro che da lì a poco sarebbe avvenuto.
«Che meraviglia…» sentì sussurrare la Mezzosangue, appena dietro di lui.
Il ponte Carlo si ergeva di fronte a loro in tutti i suoi cinquecentoquindici metri di lunghezza. Gli artisti praghesi, per niente scoraggiati dal gelo e dalla neve, erano riuniti lì come se si trattasse di un atelier: pittori, musicisti e caricaturisti si mischiavano a piccoli carretti di souvenir verso i quali i proprietari tentavano di attirare gli affascinati stranieri.
Nonostante non fossero neanche le dieci del mattino e il tempo fosse piuttosto inclemente, ondate di turisti percorrevano imperterriti l’intera ampiezza della costruzione gotica. Lì nel bel mezzo della gente sarebbe stato perfetto per un incontro segreto.
Raggiunta la metà del ponte – Draco provò un istinto omicida nei confronti della Medimaga, tanto interessata alle varie bancarelle da mantenere un passo da lumaca schiacciata – attesero in silenzio per qualche minuto.
«È pericoloso non prestare attenzione a chi ti viene alle spalle.»
Draco seppe ancora prima di voltarsi a chi apparteneva quella voce profonda dal tono strascicato, lento. Ricordava di aver ascoltato ore di spiegazioni nei sotterranei di Hogwarts, ore che sembravano eterne anche a causa di quella voce monotona ed inespressiva.
Severus Piton.


Edited by MissWhite10 - 21/4/2012, 00:30
 
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MissWhite10
CAT_IMG Posted on 20/4/2012, 23:29






We're Even, Now.




L’arma più potente che l’essere umano possiede, e di cui è dotato sin dai primi anni di vita, è la parola.
Un potere da saper calibrare, in quanto nulla può innalzare, distruggere, ferire, far innamorare, come le parole.
Il più comune metodo di espressione di se stessi.
Secondo questo ragionamento, non è poi tanto assurdo che l’esistenza di una persona possa essere condizionata da sette e striminzite parole vergate su una pergamena consunta, soprattutto se da esse dipende una parte della propria vita marcata da un gigantesco punto interrogativo.

“Io conosco l’identità di tuo padre.”

A quella prima, sinistra pergamena, risalente a poco meno di sei mesi prima, ne era seguita un’altra, proprio quella mattina.
Una richiesta.
Uno scambio, in realtà.
Forse, una rivelazione per una rivelazione.
Nel corso degli ultimi due anni, il mondo della giovane Medimaga era radicalmente cambiato, in meglio. Nonostante fosse sempre stata ligia al dovere ed irreprensibile sia negli studi che sul lavoro, non si era mai sentita sicura e stabile come negli ultimi tempi.
Aveva finalmente trovato un proprio equilibrio.
I palmi delle mani saldamente ancorati ai bordi di ceramica del lavandino, Isabelle Appleton De Vigne fissava il proprio riflesso.
I capelli le ricadevano sulle spalle e incorniciavano il viso ovale, scarno, dalla carnagione chiara, sul quale troneggiavano imperiosi due occhi scuri, neri come la pece.
Odiava quelle ciocche ramate, lisce come spaghetti. Neanche gli Incantesimi Arriccianti più efficaci avevano effetto su di lei, non per più di un paio d’ore.
Era invidiosa dei boccoli della sua “capa” fin dal momento in cui l’aveva conosciuta, nonostante Hermione ribattesse puntualmente con una lamentela autocritica riguardo la propria capigliatura crespa e voluminosa.
Si sa, no, che vogliamo sempre ciò che non possiamo avere?
L’unica caratteristica di cui andava fiera era il tratto delicato e diritto del naso, ereditato senza ombra di dubbio dalla madre, e che sembrava quasi essere scolpito.
Per il resto, non era una gran bellezza, ne era consapevole, ma non ci aveva mai badato più di tanto.
Fin dai tempi della scuola era additata come una ragazzina particolare, “quella strana”, che indossava abiti improbabili persino per le Sorelle Stravagarie. C’era un che di “incomprensibilmente comune e allo stesso tempo anarchico” in lei, parole testuali dei suoi precedenti professori.
Insomma, come dicevano gli inglesi, era la tipica “freak” (stramba) per eccellenza.
E quando, da adolescente, i compagni di scuola la prendevano in giro per l’aspetto, non si può dire che fosse la femminilità l’arma vincente per vendicarsi e metterli a tacere.
Ora un po’ si vergognava al ricordo delle Fatture Pungenti e degli Incantesimi Confundus che aveva lanciato nei momenti meno opportuni per le ignare vittime, come interrogazioni o partite di Quidditch.
Già, ripensandoci, non si era fatta molti amici in Francia. Ma non nutriva rancori né rimorso per averla lasciata: era come rinata, a Londra.
Questo rendeva tutto più difficile.
Poteva davvero rischiare, con l’eventualità di dover abbandonare tutto ciò che aveva conquistato a fatica?
Sarebbe stato giusto giocarsi fino all’ultima carta di cui disponeva per apprendere la tanto agognata verità?
Giusto, sbagliato.
Sono concetti astratti, principi indefiniti ed indefinibili a cui la gente si ostina a dare un’accezione concreta, il più delle volte per sentirsi a posto con la coscienza.
Spesso le necessità e i desideri più giusti comportano azioni errate.
O viceversa.
«Non fare la bambina.» si rimproverò severa in francese, fissando lo specchio.
Come se servisse ad accantonare il pensiero, Isabelle girò i tacchi ed uscì dal bagno del sesto piano dell’Ospedale San Mungo*.
«Ciao, Isy!»
«Buongiorno, dottoressa Appleton.»
Ricercatori in pausa erano riuniti sul pianerottolo, attirati come calamite da una “macchinetta del caffè” Babbana fatta ordinare ed installare da Hermione che, corretta con la magia, forniva qualsiasi cosa venisse richiesta, anche se spesso e volentieri barava nel ridare il resto; aveva rappresentato un vero boom, e i Guaritori di tutto l’ospedale ne erano rimasti così entusiasti da pretendere di averne una per ogni piano.
Abitualmente, Isabelle sarebbe rimasta a chiacchierare con i colleghi del più e del meno e avrebbe ordinato il caffè espresso italiano per cui nutriva una passione smisurata, ma non quel giorno.
Ricambiò i saluti con un cordiale cenno della mano, scusandosi tacitamente con un flebile sorriso, e li oltrepassò, diretta nel suo studio, attiguo e comunicante con quello della dottoressa Granger.
Da dietro la scrivania, stirò appena il collo in avanti per tenere d’occhio la porta: quell’ufficio era un continuo via vai di persone, chi ambasciatore di progressi conseguiti in un particolare progetto, chi carico di scartoffie da firmare.
Era una routine, ormai: chiunque lavorasse in quella struttura era a conoscenza della gestione degli orari, e sapeva che in mattinata qualcuno sarebbe sempre stato presente in Ufficio, ma dalla pausa pranzo in poi era impensabile trovare la dottoressa Granger o la sua assistente rintanate tra le carte burocratiche; avevano del lavoro serio da fare nei laboratori, loro.
Sembrava tutto tranquillo, per il momento.
Isabelle aprì un cassettino alla sua destra, fece scivolare la mano all’interno ed esercitò una leggera pressione sulla superficie.
Con un “clack” sonoro, si aprì il doppiofondo celato.
Ora teneva tra le mani la causa dei pensieri cupi che le avevano infestato la mente.
La seconda lettera anonima.

“Se vuoi la verità, dovrai fare ciò che ti dico.”

Oh, se la voleva, la verità.
Era la cosa a cui anelava con tutta se stessa da quando aveva memoria.
La domanda, a quel punto, era: cosa le sarebbe stato chiesto di fare?
E, soprattutto, fino a che punto sarebbe stata capace di spingersi per ottenerla?






Severus Piton era lo stesso uomo di sempre.
Alto, dalla corporatura magra, e un lungo naso adunco.
Gli occhi scuri scrutavano con attenzione i maghi di fronte a lui, ignorando gli schiamazzi di un folto gruppo di turisti spagnoli intenti a rifocillarsi dopo quella che doveva essere stata una prolungata camminata in giro per la capitale.
Durante il tragitto percorso lungo Ponte Carlo, nessuno aveva spiccicato parola.
Di comune accordo, Piton li aveva condotti in un bar alquanto squallido, in una traversina dell’ampia via Mostecká.
Avevano preso posto il più lontano possibile dall’ingresso del piccolo locale, ed erano disposti a triangolo lungo il tavolo costeggiante la parete.
«L’abbiamo trovato.» aveva esordito il professore dopo estenuanti momenti di suspance. «Aleksander Markov.»
«È qui, dunque. I nostri sospetti erano fondati.» aveva replicato Draco con calma, dopo aver inalato il fumo della seconda sigaretta della giornata.
Piton si era limitato ad assentire con un lieve cenno del capo, inespressivo.
Hermione sapeva perfettamente quanto fosse preziosa, a dir poco fondamentale, quella notizia.
Il russo era forse l’unico mago vivente a conoscere con esattezza la formula dell’arma che aveva creato: finché lei stessa non ci avesse messo le mani, o perlomeno conosciuto la composizione, non sarebbe riuscita a rendersi conto dell’effettiva gravità della situazione.
Poteva trattarsi di qualunque cosa, né Silente né Malfoy avevano dato certezze.
«C’è la possibilità di incontrarlo?» aveva chiesto la dottoressa, storcendo il naso per l’odore acre, per lei insopportabile, della sigaretta, senza risparmiare un’occhiataccia all’ex Serpeverde.
Piton aveva inarcato le sopracciglia; la fronte corrugata gli conferiva un’aria scettica. Ad una più attenta analisi, appariva parecchio invecchiato dall’ultima volta che si erano incontrati: se per Silente il tempo sembrava scorrere senza lasciare traccia, per il professore di Pozioni sembravano trascorsi come minimo dieci anni.
I capelli lunghi fino alle spalle, unticci, si erano ingrigiti alla base, e scure occhiaie segnavano il contorno degli occhi, neri e penetranti, puntati su Hermione.
«Non si fida di nessuno. Ho dovuto costringerlo a svelarmi la sua identità con il Veritaserum.» aveva risposto, conciso. «Non sarà facile, signorina Granger.»
Quest’ultime parole riportarono l’ex Grifondoro ai tempi di Hogwarts: erano anni che nessuno la chiamava così.
Ricordava bene che, nonostante fosse sempre stata la migliore del suo corso, per non dire dell’intera scuola, lui era l’unico tra tutti i professori e non essersi mai sbilanciato più di tanto con i complimenti e a trattarla con distaccata freddezza.
«Se avesse iniziato prima a non fidarsi di nessuno, noi non saremmo qui.» aveva ribattuto Malfoy. «Dobbiamo trovare un accordo.»
«Ho fatto il possibile, Draco.» aveva risposto Piton, una nota stanca nella voce melliflua che suonò del tutto nuovo alle orecchie dei suoi ex studenti.
«Quando?» era intervenuta Hermione con una nota di dolcezza nel tono; non voleva mettere sotto pressione il professore più di quanto non lo fosse già, ma la sua fervida curiosità, purtroppo o per fortuna, aveva sempre la meglio.
«Markov si spaccia per un Babbano, adesso, e si guadagna da vivere come uno di loro. Eccetto che per l’alchimia, è poco più di un Magonò.» un lampo di giudizio, di appena accennato disprezzo, balenò nello sguardo cupo di Piton nel pronunciare queste parole. «Lavora al cimitero ebraico, e ha accettato di vedervi. Stanotte.»
Draco aveva aspirato l’ultimo tiro della sigaretta – nell’atto di espirare, indirizzò “casualmente” il fiato verso l’ex Grifondoro - e spense la cicca nel posacenere, schiacciandola sulla superficie di vetro finché anche l’ultimo ed impercettibile filo di fumo si fosse estinto.
«Perfetto. Ci sarò.»
«Ci saremo.» l’aveva corretto Hermione, tagliente. Era stanca di quel maschilismo.
Malfoy si era voltato verso di lei, drizzando di poco la schiena all’indietro come per avere una più ampia visuale della Mezzosangue. L’aveva squadrata per intero, in un tentativo ben riuscito di sminuirla con lo sguardo argentato.
Voleva forse essere un gesto di sfida?
«Dobbiamo risolvere la faccenda insieme.» aveva aggiunto lei. Sì, doveva essere masochista per aver utilizzato, e anche solo pensato, quella parola. «Silente l’ha affidata ad entrambi.»
«La faccenda.» aveva ripetuto Malfoy in tono di scherno. «Strano, non mi eri sembrata molto esperta di spionaggio magico.»
L’allusione all’attentato della sera prima da parte di Dolohov era palese.
Come se lei non si fosse già sentita stupida abbastanza e il suo orgoglio ridotto in poltiglia per essere stata salvata, nel vero senso della parola, da quell’idiota pomposo.
«Ora basta.» La voce inespressiva, atona, di Piton aveva sedato il battibecco all’istante. Quel suo tono secco, che non ammetteva repliche, aveva ancora la capacità di raggelare sul posto.
Anche se non lo seppero mai, entrambi i suoi ex studenti, per un folle attimo, avevano immaginato che le sue prossime parole sarebbero state: “dieci punti in meno a Grifondoro e Serpeverde.”
«Il mio compito qui è finito, per il momento. Sapete come trovarmi.»
Sollevandosi dalla sedia, aveva indicato un cellulare, più simile ad un citofono per le dimensioni – probabilmente alla sua età soffriva di presbiopia – e prima ancora che uno dei due avesse avuto il tempo di replicare al saluto, era sparito in bagno e Smaterializzatosi.
L’Indicibile era rimasto attonito.
Silente poteva anche avere una certa influenza, ma non avrebbe mai creduto che si sarebbe spinto fino a tanto: il Direttore della Casa di Salazar Serpeverde se ne andava davvero in giro con una di quelle odiose diavolerie Babbane? Assurdo.
Era semplicemente incredibile.
L’unica cosa che Draco Malfoy apprezzava ed era capace di accettare di quel misero e scomodo mondo Babbano, erano le sigarette.
Non che non ne esistessero nel mondo magico, ma avevano peculiarità particolari e non di rado aveva sentito storie poco piacevoli di come il fumo, una volta aspirato, venisse espulso dai pertugi più improbabili. No, non le narici.**
Da quando aveva scoperto le sue adorate Marlboro, alla precoce età di sedici anni, non poteva più farne a meno, e non tollerava che qualcuno, di chiunque si trattasse, gli rompesse le palle al riguardo.

Il “qualcuno” in questione, quel giorno era rappresentato dalla sua adorata mogliettina.
Ogni sigaretta era seguita da un’occhiata torva da parte della Granger, che, sebbene la temperatura fosse di parecchio al di sotto dello zero, si era ostinata a far arieggiare la stanza. Ogni dannatissima volta.
Donne.
Draco, ora in piedi di fronte alla finestra del soggiorno della suite, si lasciò andare ad un ghigno: in fondo, aveva un che di divertente darle sui nervi.
Era stato il suo passatempo preferito per sette anni di fila, perché smettere adesso che poteva averla a tiro ventiquattrore su ventiquattro?
Fuori scrosciava una pioggia leggera, poco più che neve sciolta.
Il clima di Praga, rispetto all’Inghilterra, era meno rigido durante l’inverno: quella nevicata abbondante che aveva ammantato la città con il suo velo candido e soffice doveva essere un evento, se non eccezionale, perlomeno raro prima di gennaio inoltrato.
Il Natale, periodo che detestava fino al midollo, si stava avvicinando.
Per un motivo o per un altro, era sempre stato mira delle invidie dei compagni di scuola perché, sin dal primo anno, a scuola, riceveva una montagna di lettere e doni.
Gli altri lo ritenevano fortunato perché quell’uomo che la gente considerava suo padre gli concedeva di chiedere ed ottenere qualsiasi cosa volesse.
In realtà, una volta fatto ritorno a Malfoy Manor, il suo inferno personale aveva inizio.
E né le apparenze né le arie da nobile blasonato avrebbero potuto cancellare dalla memoria certi momenti.
«Credo sia ora…» la voce della Granger alle sue spalle interruppe quel filone di pensieri.
Draco si voltò con deliberata lentezza, scrutando la figura della sua alleata nemesi, ai piedi della scala a chiocciola.
Adesso somigliava di più a come la ricordava: che fosse stato il portamento o l’abito eccessivamente elegante, la sera precedente la dottoressa pareva aver perso qualsiasi traccia della secchiona, a volte un po’ goffa, ragazza che ricordava.
Hermione indossava un maglioncino bianco, dall’aspetto piuttosto pesante, che le fasciava la vita, sfiorando le ginocchia, con un paio di leggings felpati e degli stivali grigi.
I boccoli color cioccolato le ricadevano morbidi sulle spalle, e mentre riportava lo sguardo dorato sul biondino, infilava il cappotto scuro.
Era molto semplice, però conservava una grazia che le donava un certo fascino.
«Tu non vai da nessuna parte, Mezzosangue.»
«E tu non mi dici cosa posso o non posso fare, Malferret.» rimbeccò lei, irritata.
Davvero era così immaturo da non comprendere l’importanza della circostanza in cui si trovavano?
L’odio, motivato dall’antipatia e dal disdegno per il suo “sangue sporco”, poteva accecarlo al punto da escludere qualsiasi possibilità di una rispettosa collaborazione?
«Potrebbe essere pericoloso.» rispose Draco. Poi, resosi conto che le sue parole sarebbero state facilmente fraintese, aggiunse: «Non posso preoccuparmi di salvare anche la tua pellaccia, e non intendo ritrovarmi la tua schiera d’amichetti eroici a darmi la caccia perché tu sei stata abbastanza stupida da farti uccidere.»
«So badare a me stessa, quindi puoi continuare ad essere il solito egoista bastardo di sempre senza il peso della mia vita sulla tua coscienza. Io vengo con te.»
Quando Hermione Jane Granger prendeva una decisione, nemmeno essere presa a Bolidate sulla fronte le avrebbe fatto cambiare idea.
«Come ti pare.» sillabò acido il biondo. «Ma niente tasso***, useremo la magia per spostarci.»


Fu proprio così che, Smaterializzatisi dal Grand Hotel Praha, gli sposini si ritrovarono all’aria aperta nella fredda notte invernale.
Situato nel quartiere ebraico di Josefov, non troppo lontano da Piazza dell’Orologio, dove alloggiavano, il Vecchio Cimitero si presentava come una distesa disordinata di lapidi, vicinissime l’una all’altra.
Si vociferava che le sepolture fossero avvenute per strati, al fine di sopperire alla mancanza di spazio: più di centomila anime riposavano in quel luogo silenzioso, risparmiato dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale Babbana a testimonianza di una razza perseguitata e, secondo la loro visione, in via d’estinzione.
L’erba alta si insinuava indisturbata tra le lastre di pietra, confondendosi con la ghiaia del sentiero tortuoso. Un’antica coesistenza tra la vita e la morte.
Imponenti alberi di sambuco accarezzavano con le loro fronde le tombe in marmo ed arenaria, proteggendole dal tenue tocco della luna e accogliendole in un abbraccio d’ombra.
«Lumos.» mormorò Draco, il braccio sinistro disteso di poco in avanti. Un fascio di luce si sprigionò dalla bacchetta saldamente stretta in mano, tuttavia troppo debole per permettere di scorgere più del viottolo coperto di neve, che si faceva strada lungo i sepolcri.
Mentre l’Indicibile avanzava con cautela, Hermione rimase ferma dov’era.
Le era parso di udire uno scricchiolio anomalo in quel silenzio mistico, seguito da un lievissimo respiro affannato.
Seguendo un po’ quel suono e un po’ il proprio istinto, l’ex Grifondoro individuò una sagoma esile raggomitolata a terra, due file di lapidi più indietro rispetto a dove lei si trovava, e nella direzione opposta verso cui Malfoy si era mosso; appoggiò una mano sulla superficie marmorea di una di queste, spingendo involontariamente dei piccoli sassi che vi erano appoggiati.
La caduta di questi provocò un tonfo impercettibile, che però fece sobbalzare sia lei che l’ombra che aveva intravisto.
«Signor Markov?» sussurrò Hermione, esitando.
La figura umana, vacillante sui suoi stessi passi, si delineava con più chiarezza man mano che l’uomo si rialzava in piedi e si avvicinava. Le braccia sollevate in segno di resa.
«Sono disarmato.»
«Signor Markov» ripeté la giovane donna, stavolta era il garbo ad incrinare il tono di voce. «Non intendo farle del male, ma aiutarla. Io vorrei… parlare con lei.»
Forse spinto dalla sincerità di quelle parole, caratterizzate da una gentilezza che da tempo non gli veniva rivolta, o forse per un’altra ragione solo a lui nota, l’uomo si convinse a muovere qualche passo in avanti verso la dottoressa; uscito dall’ombra del sambuco, era ora illuminato dalla luna.
Il suo volto differiva dalla fotografia che Silente aveva mostrato ad Hermione quando le aveva esposto il caso.
Il colore azzurro slavato degli occhi sottolineava le pesanti occhiaie tipiche di chi non trova né pace né ristoro nel sonno; i capelli erano bianchi e in alcune zone più radi, la schiena appena ingobbita.
Sicuramente assumeva una discreta dose di Pozione Invecchiante al giorno.
Nessuno, vedendo quell’uomo semi-anziano, avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stato capace di inventare una potente arma a danno sia del mondo magico sia del mondo Babbano.
«Lei… lei sa cosa ho fatto, vero?» balbettò singhiozzando Markov, premendosi ora le mani sul viso.
Era terrorizzato e visibilmente scosso da un forte sentimento di rimorso, che lo faceva apparire vulnerabile come un bambino.
Hermione, toccata da quella fragilità, aveva sollevato la mano libera dalla bacchetta per poggiarla sulla sua spalla, ma prima ancora che potesse compiere quel gesto, Malfoy – attirato dalle loro voci – , era apparso dietro di lei.
Uno scambio di sguardi della durata di una frazione di secondo.
O forse di un’eternità.
Quando l’alchimista incontrò gli occhi grigi, inflessibili, di Draco, sembrò pietrificarsi per una attimo, prima di gettarsi all’indietro, come vittima di un raptus, lasciandosi ricadere con pesantezza su una lapide, incapace di reggere quella visione senza che essa lo privasse di qualsiasi forza rimasta nelle membra.
«No… No… Non u-uccidermi, ti prego… No…»
Il braccio ancora a mezz’aria, Hermione lanciò un’occhiata esterrefatta all’ex Serpeverde.
Se fosse stato scolpito nel granito, Draco Malfoy non sarebbe stata statico come la versione in carne ed ossa: il suo volto era intellegibile, l’espressione statica, dura, e gli occhi ridotti a due fessure argentee.
Immobile.
«Lucius, cos’altro vuoi da me?» l’uomo aveva cambiato tono, adesso. Si molleggiava avanti e indietro, contorcendo instancabilmente le mani, in preda al delirio di una mente sfinita. «Mi hai detto di provarla su di lei, e io l’ho fatto. Ho obbedito.»
«Signor Markov.» lo richiamò Hermione con dolcezza, nel chinarsi appena verso di lui e mettendogli una mano sulla spalla, nel tentativo di stabilire un contatto. «Lui non è…»
«È morta per il suo sangue. L’ho uccisa io. Io… Io non volevo.»
«Aleksander.» tentò ancora una volta la giovane donna, pensando che magari utilizzare il nome di nascita l’avrebbe riportato alla realtà. «Può dirmi cosa le ha ordinato Malfoy?»
Lentamente, il custode del cimitero sollevò il capo, come accortosi solo in quel momento della sua presenza.
Memore delle parole che prima gli aveva rivolto, gli occhi gli si inondarono di lacrime, e senza esitazioni strinse nelle sue mani callose quella liscia di lei.
«Il processo deve essere completato. Se il processo è errato, il risultato sarà errato…»
Nulla di quello che diceva aveva un senso.
Markov infilò le mani nelle tasche del pastrano che indossava, cercando qualcosa a tentoni. Guardingo, quasi temesse che qualcuno li stesse spiando, consegnò ad Hermione una pergamena stropicciata e ripiegata in quattro.
«Aconito e sangue. Odio e sacrificio.» farfugliò l’uomo in modo confuso, per poi tacere all’improvviso.
Degli scalpiccii nelle vicinanze misero i tre in allarme.
Improbabile che si trattasse di ragazzini con un discreto gusto dell’horror intenti a provare il brivido del pericolo.
«Oh, no… Sono arrivati.»
Tutto accadde in un lampo.
Markov si era Smaterializzato non appena finito di pronunciare la frase, balbettando un “mi dispiace” alla volta di Hermione.
In quel preciso momento, che si rivelò essere comunque troppo tardi, sia lei che Malfoy si resero conto di essere stati accerchiati da una decina di Mangiamorte, le cui figure erano rese indistinguibili dall’oscurità opprimente che avvolgeva il camposanto.
Non sarebbe passato troppo tempo prima che si accorgessero della loro presenza.
Lampi di luce verdi e rossi illuminarono tetramente la grigia pietra, maledizioni lanciate alla cieca su un bersaglio invisibile.
Poco importava a quei criminali senza scrupolo se si fossero feriti tra di loro, ciò che contava sopra ogni cosa era che tra le vittime colpite fossero annoverati anche i corpi dei loro nemici.
Nessuna remora nel disturbare la quiete del luogo di riposo dei morti.
«Ci serve vivo!» urlò qualcuno in lontananza.
In risposta ad un violento picco di adrenalina, la mente di Hermione si sgombrò di ogni pensiero. Attraverso i suoi occhi dorati, vedeva nitidamente ogni cosa: stavolta non si sarebbe lasciata sopraffare dalla situazione, avrebbe reagito. Lottato.
Come due ballerini nell’atto di eseguire una studiata coreografia, l’Indicibile e la Medimaga si posero schiena contro schiena, i lembi dei vestiti di uno che sfioravano quelli dell’altra, pronti a proteggersi.
Al posto di un uomo impaurito ed indifeso, i Mangiamorte avrebbero trovato pane per i loro denti.
Erano circondati.
«Crucio.»
«Protego!»
«Expelliarmus!»
Bagliori di incantesimi saettavano da una parte all’altra, tanto che chiunque si fosse trovato nelle vicinanze avrebbe pensato ad un’inspiegabile esplosione di fuochi d’artificio.
«Incarceram…» urlò una figura incappucciata pericolosamente vicina, puntando la propria bacchetta contro Hermione.
«Inanimatus Conjurus!» esclamò lesta lei di rimando, osservando il corpo inanimato del Mangiamorte cadere a terra con un tonfo. Nessuno poteva permettersi di incatenare una Grifondoro.
La Medimaga si voltò appena in tempo verso il proprio alleato, intento a duellare con una Mangiamorte, per scorgere Dolohov, l’unico del gruppo a volto scoperto, acquattato in un angolo, in attesa di cogliere il momento migliore per sferrare il proprio attacco.
«Expelliarmus.» disse Hermione.
L’incantesimo di Disarmo si infranse su un tronco, mancandolo di pochi centimetri.
Tuttavia, era riuscita nel suo scopo: far sì che il suo interesse si spostasse su di lei.
O almeno, così credeva.
Dolohov puntò su di lei gli occhi neri, che spiccavano sul volto allungato e pallido, ma si limitò a lanciarle uno sguardo sprezzante e pieno di rancore; sganciò con lentezza quel contatto visivo, trasferendo ogni attenzione su Malfoy, e mosse le labbra per pronunciare la formula della sua caratteristica Maledizione della Frusta.
«Petrificus Totalus!» gridò Hermione con prontezza, nel tentativo disperato di agire prima che il Mangiamorte avesse la possibilità di farlo.
Con un’insospettabile agilità, Dolohov si protesse con l’Incantesimo Scudo, ma ancora sembrava desistere dall’attaccarla, quasi fosse un fastidioso moscerino che lo distraeva dal proprio obiettivo.
«Malfoy, a terra!» avvertì la Medimaga con tutta la voce che aveva in gola, muovendosi al contempo il più in fretta possibile verso l’Indicibile.
Draco stava combattendo furiosamente da più di dieci minuti con una Mangiamorte che sembrava volerlo prendere per il culo: si ostinava a lanciargli contro fatture elementari, badando però ad evitare di dargli il colpo di grazia e proteggendosi con una velocità fulminea.
Prendeva tempo.
Quell’atteggiamento iniziava a dargli davvero sui nervi, e proprio quando era in procinto di passare ad una strategia più aggressiva, udì la voce allarmata della Mezzosangue.
Prima ancora che avesse il tempo di individuare il pericolo da lei indicato, venne colpito di striscio da un energico “Exulcero”, una Fattura Ustionante che provoca lesioni e bruciature sulla pelle, e contemporaneamente da uno Schiantesimo scagliato da Dolohov.
Come se qualcuno avesse azionato la funzione di ralenti, Hermione vide il biondo, colpito da due fasci di luce diversi, ricadere con pesantezza al suolo qualche metro più in là rispetto a dove si trovava lei.
«Impedimenta!» urlò distendendo il braccio dietro la schiena, mentre spiccava una corsa verso l’ex Serpeverde.
Giaceva inerte al suolo, il capo riverso.
Un rivoletto di sangue tingeva di cremisi la fronte diafana di Malfoy, e una chiazza dello stesso, vivo colore si allargava sul torace, macchiando la camicia bianca.
La mano chiusa a pugno intorno alla bacchetta di biancospino.
Hermione afferrò il braccio per un pelo, e si Smaterializzò.

Che fosse stata la brusca Smaterializzazione a o il dolore lancinante, Draco si scosse di botto da quel temporaneo black-out.
Era accaduto tutto troppo in fretta, non aveva neanche realizzato di aver perso i sensi, e per questo si sentì disorientato nel trovarsi disteso su un letto, in una stanza che in un primo momento non riconobbe.
Gli era sfuggito il passaggio in cui la Granger li aveva condotti lontano dal Cimitero, al sicuro nella loro camera d’albergo.
Il forte mal di testa era un indizio non trascurabile, in effetti.
«Mezzosangue…» chiamò con voce rauca. Non si era reso conto di quanto fosse debole.
Hermione, in piedi accanto al letto, gli dava le spalle: stava trafficando con una valigetta, poggiata su un tavolinetto, contenente l’occorrente per un kit di emergenza.
Quando si voltò, reggeva in mano uno strano impacco ed oggetto appuntito dall’aria tutt’altro che amichevole.
«Dammi il braccio.» ordinò l’ex Grifondoro in tono perentorio, mentre premeva lo stantuffo della siringa per eliminare le bolle d’aria, facendo fuoriuscire uno schizzo di liquido. «Devo medicare le ferite.»
«Cazzate, sto benissimo.» mentì Draco, compiendo a fatica il tentativo di mettersi a sedere sul letto, quando una fitta atroce al fianco sinistro lo trafisse. Si concesse solo un mugugno di dolore. «E tieni quella cosa… lontana da me.»
«Benissimo, eh?» lo schernì freddamente la Medimaga mentre riponeva il cilindro per iniezioni sul comodino, un sopracciglio inarcato in segno di scetticismo. Non sembrava per niente sorpresa dalla resistenza opposta dall’Indicibile. «Ok, se non vuoi che ti curi, fa’ pure. Non sono affari miei. Almeno, però, bevi un po’ d’acqua.»
Gli porse un calice di vetro.
A giudicare da come lo fissava intensamente, Draco intuì che quella testarda di una Grifondoro non si sarebbe mossa da lì finché non avesse fatto almeno una delle cose che gli aveva imposto in modo tanto “delicato”.
Il biondo non aveva alcuna intenzione di farsi comandare a bacchetta, specialmente da una come lei, né voleva darle la soddisfazione di obbedire, ma era sfinito.
Fu l’unico motivo per cui accettò di bere fino all’ultima goccia di liquido, di certo non per amore di pace.
«Bene.» asserì Hermione, riprendendo il bicchiere.
Lo osservava come se attendesse qualcosa.
Pochi secondi dopo, Draco capì di cosa si trattasse.
Le membra erano improvvisamente pesanti, la stanchezza man mano prendeva il controllo sul suo corpo. Anche la vista gli si era offuscata, doveva sforzarsi e strizzare gli occhi per mettere a fuoco la Granger, che torreggiava su di lui.
Si sentiva ubriaco.
«Non era acqua, vero?» domandò l’Indicibile, a fatica. Sorreggere il capo appena sollevato diventava sempre più arduo, e lo spazio intorno a lui sembrava distorcersi in una confusione caliginosa.
La Medimaga scosse il capo. «Pozione Soporifera.»
Solo un’ingenua avrebbe potuto pensare di poter curare un Serpeverde Purosangue senza ricorrere a qualche trucco: era così orgoglioso e convinto di dovere atteggiarsi a macho in qualsiasi momento che senza dubbio non avrebbe mai accettato l’idea di dover riposare e recuperare le forze.
Non da consenziente, almeno.
Impotente, Draco fu costretto ad abbandonare la testa sul cuscino. Lottava con tutto se stesso per tenere gli occhi aperti.
«Tu…» farfugliò, la lucidità lasciava il posto all’intorpidimento. «Me la pagherai, Granger…»
Conclusa la frase, dovette arrendersi all’indotto sonno, profondo e senza sogni, provocato dal fluido magico che gli era stato somministrato contro la sua volontà.
Hermione sospirò stancamente.
Già la convivenza forzata era insostenibile, per di più non le rendeva facile nemmeno esercitare la propria professione.
Un incubo.
Sì, quella notte era stata un inferno.
Ora, però, erano pari.

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*il sesto piano, nei libri di Harry Potter, non esiste: nella fanfiction ho immaginato che fosse interamente dedicato alla ricerca medica, reparto gestito da Hermione.
** intendevo le orecchie, eh! Che cosa avete pensato?
*** con “tasso” si intende la storpiatura della parola “taxi” da parte di Draco, che come sappiamo bene è un po' negato per quanto riguarda la roba Babbana.
 
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26 replies since 17/2/2009, 22:46   450 views
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